BCE
Toto-Fed: una scommessa che riguarda tutti
23 Maggio 2015 06:00

classico caso del battito d’ali di una farfalla nei Caraibi che scatena uno tsunami nell’Oceano Indiano. In questo caso la farfalla si chiama Janet e sta a Washington. Ma una sua mossa, anche impercettibile, può scatenare tempeste in continenti lontani, soprattutto quelli delle economie emergenti. Janet Yellen è la presidente della Federal Reserve, che decide il livello dei tassi di interesse americani e influenza quelli di tutto il mondo. Da tempo ha annunciato una stretta, ma non ha detto quando. Può essere giugno, settembre, dicembre o addirittura 2016. E le scommesse impazzano sui tavoli verdi dei mercati finanziari di tutto il mondo
Venerdì scorso la Yellen ha parlato, ma solo per confermare che i tassi saliranno entro l’anno: l’economia americana tira nonostante il dato debole sulla crescita nel primo trimestre e bisogna tornare alla normalità. Che, tradotto, vuol dire che il tasso di interesse non può rimanere vicino allo zero, dove si trova da quando è scoppiata la crisi innescata dal fallimento di Lehman Brothers alla fine del 2008. Quando ricomincerà a salire resta un mistero. Anche perché Janet non decide da sola; nel Federal Open Market Committee si vota. E i verbali dell’ultima riunione mostrano che non c’è unanimità sui tempi. Ci sono i falchi, che vorrebbero iniziare a stringere già a giugno. Ma ci sono anche le colombe, che vorrebbero aspettare il più possibile. Le pressioni politiche devono essere mostruose: tra poco più di un anno si vota il prossimo presidente degli Stati Uniti e un rialzo dei tassi potrebbe non essere il miglior viatico per più di un candidato. Tassi di interesse più alti vogliono dire mutui più cari per chi vuole comprare una casa e rate più costose per chi vuole acquistare un’automobile.
Se ci fermiamo qui, è un problema degli americani. Ma c’è il problema del battito d’ali della farfalla. Un quarto di punto in più dei tassi di interesse americani può voler dire la bancarotta per una nazione con dei problemi. Come ad esempio il Venezuela, alle prese con un prezzo del petrolio troppo basso e una moneta diventata carta straccia. Anche per l’Europa il toto-Fed è una lotteria importante.Tassi americani più alti vogliono dire un dollaro più forte, e quindi un euro più debole, che farebbe bene all’economia e soprattutto alle esportazioni. Lo scenario ideale per l’Europa è un dollaro che vola sulle ali di tassi di interesse americani che salgono rapidamente. Ma non è quello che piace agli americani: un dollaro troppo forte penalizza le loro esportazioni, e questo è l’argomento principale delle colombe della Fed, che vogliono rinviare il più possibile l’aumento dei tassi americani. Janet Yellen deve muoversi su questo sentiero molto stretto. Cosa farà? Dalle sue decisioni dipendono i destini della ripresa in Europa e di molte economie nel resto del mondo.
Apparentemente gli obiettivi della Federal Reserve americana e della Banca Centrale Europea convergono: una ripresa in Europa può solo aiutare a consolidare e far durare nel tempo quella già in atto da tempo in America. Ma sotto la cintura corrono colpi bassi, anche se non ancora proibiti. Alla Yellen serve un dollaro non troppo forte, per evitare accuse di non essere patriottica. A Mario Draghi serve un euro abbastanza debole, quel tanto che non faccia spegnere sul nascere la ripresa europea. La prima mossa di questa partita a scacchi sembrava che l’avesse vinta la Yellen, con il recente mini-rally dell’euro.
Ma Draghi ha risposto con una contromossa da campione: ha annunciato che la Bce intensificherà lo stimolo monetario, facendo subito indebolire la moneta unica. Il risultato è che ora la palla è nel campo della Fed. Si assumerà il rischio di un dollaro troppo forte alzando i tassi tra giugno e settembre? I giocatori sul tavolo verde dei mercati globali aspettano con il fiato sospeso.
Venerdì scorso la Yellen ha parlato, ma solo per confermare che i tassi saliranno entro l’anno: l’economia americana tira nonostante il dato debole sulla crescita nel primo trimestre e bisogna tornare alla normalità. Che, tradotto, vuol dire che il tasso di interesse non può rimanere vicino allo zero, dove si trova da quando è scoppiata la crisi innescata dal fallimento di Lehman Brothers alla fine del 2008. Quando ricomincerà a salire resta un mistero. Anche perché Janet non decide da sola; nel Federal Open Market Committee si vota. E i verbali dell’ultima riunione mostrano che non c’è unanimità sui tempi. Ci sono i falchi, che vorrebbero iniziare a stringere già a giugno. Ma ci sono anche le colombe, che vorrebbero aspettare il più possibile. Le pressioni politiche devono essere mostruose: tra poco più di un anno si vota il prossimo presidente degli Stati Uniti e un rialzo dei tassi potrebbe non essere il miglior viatico per più di un candidato. Tassi di interesse più alti vogliono dire mutui più cari per chi vuole comprare una casa e rate più costose per chi vuole acquistare un’automobile.
Se ci fermiamo qui, è un problema degli americani. Ma c’è il problema del battito d’ali della farfalla. Un quarto di punto in più dei tassi di interesse americani può voler dire la bancarotta per una nazione con dei problemi. Come ad esempio il Venezuela, alle prese con un prezzo del petrolio troppo basso e una moneta diventata carta straccia. Anche per l’Europa il toto-Fed è una lotteria importante.Tassi americani più alti vogliono dire un dollaro più forte, e quindi un euro più debole, che farebbe bene all’economia e soprattutto alle esportazioni. Lo scenario ideale per l’Europa è un dollaro che vola sulle ali di tassi di interesse americani che salgono rapidamente. Ma non è quello che piace agli americani: un dollaro troppo forte penalizza le loro esportazioni, e questo è l’argomento principale delle colombe della Fed, che vogliono rinviare il più possibile l’aumento dei tassi americani. Janet Yellen deve muoversi su questo sentiero molto stretto. Cosa farà? Dalle sue decisioni dipendono i destini della ripresa in Europa e di molte economie nel resto del mondo.
Apparentemente gli obiettivi della Federal Reserve americana e della Banca Centrale Europea convergono: una ripresa in Europa può solo aiutare a consolidare e far durare nel tempo quella già in atto da tempo in America. Ma sotto la cintura corrono colpi bassi, anche se non ancora proibiti. Alla Yellen serve un dollaro non troppo forte, per evitare accuse di non essere patriottica. A Mario Draghi serve un euro abbastanza debole, quel tanto che non faccia spegnere sul nascere la ripresa europea. La prima mossa di questa partita a scacchi sembrava che l’avesse vinta la Yellen, con il recente mini-rally dell’euro.
Ma Draghi ha risposto con una contromossa da campione: ha annunciato che la Bce intensificherà lo stimolo monetario, facendo subito indebolire la moneta unica. Il risultato è che ora la palla è nel campo della Fed. Si assumerà il rischio di un dollaro troppo forte alzando i tassi tra giugno e settembre? I giocatori sul tavolo verde dei mercati globali aspettano con il fiato sospeso.
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