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Bad bank in Italia, tutti i vantaggi e i punti critici
18 Marzo 2015 09:45

durare della crisi continua a dispiegare i suoi effetti sulla rischiosità dei prestiti in Italia: a gennaio, in base agli ultimi rilevamenti dell’Abi, Associazione bancaria italiana, le sofferenze lorde sono risultate pari a quasi 185,5 miliardi di euro, dai 183,7 miliardi di dicembre. Il rapporto sofferenze lorde su impieghi è del 9,7% a gennaio 2015 (rispetto all’8,4% di un anno prima e del 2,8% di fine 2007), valore che raggiunge il 16,3% per i piccoli operatori economici, il 16,3% per le imprese ed il 7% per le famiglie consumatrici. L’elevato livello delle sofferenze è anche determinato dalla lunghezza delle procedure di recupero dei crediti. I più recenti dati del Ministero della Giustizia segnalano che nel 2012 la durata media dei procedimenti di fallimento era pari mediamente a 7 anni, con punte di 20 anni a Messina.
In questo contesto sta crescendo in Italia la corrente di pensiero favorevole all’istituzione di una bad bank che resta una delle ipotesi più gettonate nel confronto serrato tra le nostre autorità monetarie e la Commissione europea a Bruxelles all’interno del progetto di sistema per la gestione dei crediti deteriorati e incagliati.
“Una bad bank viene spesso ipotizzata come mezzo per gestire il problema delle sofferenze, che in Italia hanno raggiunto livelli massimi storici, ripulire i bilanci delle banche e aumentare la propensione delle stesse a riprendere una più classica attività di lending” fa sapere Maria Paola Toschi, Market Strategist di JPMorgan Asset Management.
Una bad bank può perseguire diversi obiettivi: - creare le specializzazioni per fronteggiare su più ampia scala la gestione delle sofferenze che può includere varie attività come la ristrutturazione del credito, il recupero degli asset a garanzia e successivo ricollocamento di tali asset sul mercato; - apportare le risorse di capitale necessarie a supportare i NPL (Non Performing Loans) senza pesare sui bilanci delle singole banche; - lavorare per il recupero del valore netto del credito (ovvero al netto dell’accantonamento) al quale il credito è passato dalla banca originaria alla bad bank.
Le banche sono generalmente poco organizzate per gestire i NPL soprattutto ora che il fenomeno in Italia ha raggiunto valori ragguardevoli. Nel caso di un credito in sofferenza spesso le banche puntano a recuperare comunque il valore originale (ad esempio 100) e non il valore al netto dell’accantonamento (ad esempio 40 al netto di un accantonamento già appostato in bilancio di 60). Recuperare solo il valore netto di 40 renderebbe la cosa più fattibile e aumenterebbe la percentuale di successo delle operazioni di recupero, liberando il bilancio della banca dall’onere delle sofferenze senza necessariamente dover iscrivere una perdita. “Ma le banche tendono a evitare questa scelta per scoraggiare comportamenti di «moral hazard» da parte di altri debitori che si sentirebbero autorizzati a pagare solo il valore netto di un credito (ad esempio 40) anzichè il valore complessivo originale (di 100). Se ciò può essere considerato un comportamento comprensibile da parte delle banche, al contempo, non facendo rientrare liquidità e mantenendo il capitale impegnato con le sofferenze, ciò non agevola l’erogazione di nuovo credito” spiega Maria Paola Toschi.
In Europa si sono visti diversi casi di successo di bad bank: Irlanda, Spagna, e in precedenza Svezia. In passato anche l’Italia ha fatto qualche esperimento di bad bank. Ad esempio all’epoca della cessione del Banco di Napoli al San Paolo, venne creata una bad bank, gestita da Banca d’Italia, per ripulire il banco di Napoli dai NPL che il San Paolo non intendeva assumere nel proprio bilancio. Tuttavia per realizzare una bad bank di successo ci vogliono prima di tutto dei finanziatori. Nel caso di Spagna e Irlanda gli aiuti europei alle banche hanno permesso alle stesse di svalutare i crediti non performing, e quindi di passarli alla bad bank ad un prezzo che ne rendesse realistico il recupero. Inoltre in Spagna il funding della bad bank è stato garantito dallo stato.
Ci sono anche alcuni temi di natura più tecnica che devono essere affrontati. Ad esempio legati al fatto che i NPL siano sufficientemente omogenei da poter essere trattati e valutati per categoria e non uno per uno. Sempre in Spagna e Irlanda si trattava prevalentemente di esposizioni con ipoteche su immobili residenziali, commerciali, e sviluppi immobiliari cosa che ha consentito una gestione in monte dei valori di NPL.
È inoltre necessario che intervenga lo Stato o un’entità super partes, fissare il valore (in quota percentuale sul valore del credito originale) al quale gli asset sono venduti dalle banche alla bad bank: in Spagna un decreto che ha fissato i prezzi per categoria di asset.“In Italia un piano simile di costruzione della bad bank presenta alcuni limiti: in primo luogo manca un ente finanziatore e manca l’omogeneità dei NPL. Non avendo l’Italia avuto la bolla immobiliare come in Spagna e Irlanda i NPL sono spesso crediti con ipoteche su immobili industriali, quindi completamente disomogenei e per questo motivo manca la possibilità di fissare per legge il valore di trasferimento. Per questo un’operazione di bad bank dovrebbe presumibilmente coinvolgere gruppi privati, o gruppi di banche, in maniera da deconsolidare i NPL da ciascuna singola banca, ma resta difficile ipotizzare chi possa finanziare un progetto così ambizioso ma anche rischioso” puntualizza Maria Paola Toschi.
In quest’ottica sarebbe auspicabile un’azione politica per esplorare la possibilità di fornire almeno la garanzia sulla raccolta di eventuali bad bank privati o di gruppi di banche, in modo da ridurre il costo del funding, e quindi rendere redditizio l’assorbimento dei NPL e la gestione del ciclo di vita residuo degli stessi anche se iscritti nel bilancio della bad bank a valori più alti.
Da Bruxelles, alcune fonti vicine al negoziato Italia-UE, hanno fatto trapelare l’ipotesi di una garanzia limitata alla solvibilità della bad bank (relativamente al propri capitale) e non estesa a tutti i debiti confluiti in essa per evitare l’accusa di intervento statale.
In questo contesto sta crescendo in Italia la corrente di pensiero favorevole all’istituzione di una bad bank che resta una delle ipotesi più gettonate nel confronto serrato tra le nostre autorità monetarie e la Commissione europea a Bruxelles all’interno del progetto di sistema per la gestione dei crediti deteriorati e incagliati.
“Una bad bank viene spesso ipotizzata come mezzo per gestire il problema delle sofferenze, che in Italia hanno raggiunto livelli massimi storici, ripulire i bilanci delle banche e aumentare la propensione delle stesse a riprendere una più classica attività di lending” fa sapere Maria Paola Toschi, Market Strategist di JPMorgan Asset Management.
Una bad bank può perseguire diversi obiettivi: - creare le specializzazioni per fronteggiare su più ampia scala la gestione delle sofferenze che può includere varie attività come la ristrutturazione del credito, il recupero degli asset a garanzia e successivo ricollocamento di tali asset sul mercato; - apportare le risorse di capitale necessarie a supportare i NPL (Non Performing Loans) senza pesare sui bilanci delle singole banche; - lavorare per il recupero del valore netto del credito (ovvero al netto dell’accantonamento) al quale il credito è passato dalla banca originaria alla bad bank.
Le banche sono generalmente poco organizzate per gestire i NPL soprattutto ora che il fenomeno in Italia ha raggiunto valori ragguardevoli. Nel caso di un credito in sofferenza spesso le banche puntano a recuperare comunque il valore originale (ad esempio 100) e non il valore al netto dell’accantonamento (ad esempio 40 al netto di un accantonamento già appostato in bilancio di 60). Recuperare solo il valore netto di 40 renderebbe la cosa più fattibile e aumenterebbe la percentuale di successo delle operazioni di recupero, liberando il bilancio della banca dall’onere delle sofferenze senza necessariamente dover iscrivere una perdita. “Ma le banche tendono a evitare questa scelta per scoraggiare comportamenti di «moral hazard» da parte di altri debitori che si sentirebbero autorizzati a pagare solo il valore netto di un credito (ad esempio 40) anzichè il valore complessivo originale (di 100). Se ciò può essere considerato un comportamento comprensibile da parte delle banche, al contempo, non facendo rientrare liquidità e mantenendo il capitale impegnato con le sofferenze, ciò non agevola l’erogazione di nuovo credito” spiega Maria Paola Toschi.
In Europa si sono visti diversi casi di successo di bad bank: Irlanda, Spagna, e in precedenza Svezia. In passato anche l’Italia ha fatto qualche esperimento di bad bank. Ad esempio all’epoca della cessione del Banco di Napoli al San Paolo, venne creata una bad bank, gestita da Banca d’Italia, per ripulire il banco di Napoli dai NPL che il San Paolo non intendeva assumere nel proprio bilancio. Tuttavia per realizzare una bad bank di successo ci vogliono prima di tutto dei finanziatori. Nel caso di Spagna e Irlanda gli aiuti europei alle banche hanno permesso alle stesse di svalutare i crediti non performing, e quindi di passarli alla bad bank ad un prezzo che ne rendesse realistico il recupero. Inoltre in Spagna il funding della bad bank è stato garantito dallo stato.
Ci sono anche alcuni temi di natura più tecnica che devono essere affrontati. Ad esempio legati al fatto che i NPL siano sufficientemente omogenei da poter essere trattati e valutati per categoria e non uno per uno. Sempre in Spagna e Irlanda si trattava prevalentemente di esposizioni con ipoteche su immobili residenziali, commerciali, e sviluppi immobiliari cosa che ha consentito una gestione in monte dei valori di NPL.
È inoltre necessario che intervenga lo Stato o un’entità super partes, fissare il valore (in quota percentuale sul valore del credito originale) al quale gli asset sono venduti dalle banche alla bad bank: in Spagna un decreto che ha fissato i prezzi per categoria di asset.“In Italia un piano simile di costruzione della bad bank presenta alcuni limiti: in primo luogo manca un ente finanziatore e manca l’omogeneità dei NPL. Non avendo l’Italia avuto la bolla immobiliare come in Spagna e Irlanda i NPL sono spesso crediti con ipoteche su immobili industriali, quindi completamente disomogenei e per questo motivo manca la possibilità di fissare per legge il valore di trasferimento. Per questo un’operazione di bad bank dovrebbe presumibilmente coinvolgere gruppi privati, o gruppi di banche, in maniera da deconsolidare i NPL da ciascuna singola banca, ma resta difficile ipotizzare chi possa finanziare un progetto così ambizioso ma anche rischioso” puntualizza Maria Paola Toschi.
In quest’ottica sarebbe auspicabile un’azione politica per esplorare la possibilità di fornire almeno la garanzia sulla raccolta di eventuali bad bank privati o di gruppi di banche, in modo da ridurre il costo del funding, e quindi rendere redditizio l’assorbimento dei NPL e la gestione del ciclo di vita residuo degli stessi anche se iscritti nel bilancio della bad bank a valori più alti.
Da Bruxelles, alcune fonti vicine al negoziato Italia-UE, hanno fatto trapelare l’ipotesi di una garanzia limitata alla solvibilità della bad bank (relativamente al propri capitale) e non estesa a tutti i debiti confluiti in essa per evitare l’accusa di intervento statale.
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