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BCE

Unione bancaria, nessuna rete di protezione per il default statale

23 Ottobre 2014 11:40
financialounge -  BCE unione bancaria europea
Sul calendario della BCE ci sono due date cerchiate in rosso: il 26 ottobre e il 4 novembre. La prima si riferisce alla data in cui saranno pubblicati i risultati dell’AQR (Asset quality review) e degli stress test che alzeranno il velo sulla solidità patrimoniale delle 130 banche più importanti in Europa. La seconda, invece, è il giorno nel quale partirà ufficialmente l’Unione bancaria europea conferendo all’Eurotower la giurisdizione diretta su tutto il sistema bancario dell’eurozona.

Se, come tutto lascia pensare (e, soprattutto, sperare), non ci saranno grosse e sgradite sorprese, il 26 ottobre dovrebbe esserci un sostanziale disco verde per gli istituti di credito europei e, dal 4 novembre, sotto la regia della BCE, non ci dovrebbero più essere pericoli di una nuova «Lehman Brothers» in formato europeo: ovvero che il fallimento di un istituto di credito possa propagarsi sull’intero sistema finanziario mondiale con tutte le ricadute negative che ha avuto e continua ancora ad avere un crac di quelle proporzioni.

Tuttavia, se è stato messo a punto un meccanismo capace di mettere in sicurezza l’eventuale impatto del fallimento di una banca europea nei confronti del sistema o del paese di appartenenza, non è stato fatto lo stesso per il fenomeno contrario. Infatti l’unione bancaria europea non prevede al momento nessun meccanismo di protezione nei confronti delle banche nel caso in cui i titoli del debito del paese di appartenenza fallisca o si sospetta possa farlo. La controprova di quanto questo fenomeno resti un pericolo di rilievo lo si è potuto constatare nitidamente la scorsa settimana.

Tra il 13 e il 17 ottobre, l’avversione al rischio degli investitori ha provocato ingenti disinvestimenti anche dai titoli di stato periferici con i tassi dei BTP italiani e dei bonos spagnoli in rialzo (e con i prezzi, che si muovo in direzione opposta, in ribasso). Le perdite accusate dai governativi periferici hanno ampliato le perdite del settore finanziario di Madrid e Milano in quanto le banche spagnole e italiane detengono circa il 10% degli attivi investiti in titoli del debito del proprio paese.
Insomma, se ci fosse una nuova crisi dello spread, gli istituti di credito periferici sarebbero tutt’altro che al sicuro, nonostante l’unione bancaria.
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