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International Editor's Picks - 29 settembre 2014

29 Settembre 2014 09:55
financialounge -  Alibaba ecommerce Europa International Editor's Picks Lituania settore bancario USA
Alibaba, protagonista dell’IPO più colossale di tutti i tempi, corre un rischio. Quale?
Secondo il Wall Street Journal il rischio si chiama crescita. In un’analisi pubblicata venerdì a firma Wei Gu, il giornale newyorkese scrive che il gigante cinese dell’e-commerce potrebbe rimanere vittima del suo stesso successo.
Il ragionamento è abbastanza semplice. In Cina gli e-shoppers si stanno affacciando adesso, a centinaia di milioni, sul mercato dei beni e dei servizi online. E per ora non sono molto selettivi, non hanno ancora imparato cosa effettivamente vogliono comprare. E Alibaba va bene, perché è un intermediario puro, e non ha una sua offerta mirata capace di combinare qualità e prezzo. Ma, scrive Wei Gu, man mano che gli e-shopper diventano esperti – il tempo medio è tre anni – si rivolgeranno sempre più alle boutique online, anche perché un mercato tuttologo come Alibaba non fidelizza più di tanto.
Insomma, Alibaba è troppo verticale, se non si orizzontalizza un po’ rischia.

Europa che non cresce in cerca di un modello. Ma dove? Il New York Times ne ha trovato uno, si chiama Lituania. E a dirlo è nientemeno che il capo della BCE Mario Draghi, riporta il giornale. Il paese baltico ha saputo riemergere dalla crisi del 2009 con una crescita impetuosa, la sua economia è stata appena scalfita dalle sanzioni alla Russia e si prepara ad entrare nell’euro in un momento che non potrebbe essere migliore, con il dollaro che ogni giorno guadagna terreno sulla moneta unica rendendola più competitiva per le esportazioni. Di fronte alla crisi la Lituania ha scelto una strada difficile, ha mantenuto il peg della sua moneta con l’euro, anche se una forte svalutazione sarebbe stata la via maestra per far ripartire l’economia con le esportazioni. Una dura medicina di bilancio ha accompagnato il risanamento, e ora è da un paio d’anni che l’economia cresce a un robusto 3% l’anno. Certo, sono ricette forse più facili da applicare su 3 milioni di disciplinati abitanti che nei grandi paesi dell’Unione.

Sono tre decenni che le grandi banche globali americane europee cercano la crescita e gli utili nell’espansione all’estero, a volte senza andare troppo per il sottile sulla qualità della clientela. Ma ora, scrive il FT nella sua Lex column di sabato, la storia potrebbe essere finita per lasciare il passo a una lenta ma costante ritirata dagli angoli più volatili, ma anche più redditizi del mondo. La ragione, secondo il giornale della City, sta nel fatto che le autorità americane stanno diventando sempre più intransigenti sul comportamento all’estero delle banche di Wall Street, anche a causa dal riesplodere delle tensioni geopolitiche, dall’Ucraina al Medio Oriente. E per i federali di Washington una banca è americana se opera in America, non importa se ha il suo quartier generale a Parigi o Francoforte o Londra, come dimostrano i casi di BNP e Standard Chartered. Per le banche globali il futuro previsto dalla Lex è meno avventuroso e meno ricco, ma più noioso e sicuro.
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