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Nell’era del sunset-burger?

10 Settembre 2014 09:05
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Se, a livello diacronico, il tempo è food-divide, McDonald’s incarna la fine del ‘900 e un’epoca globalizzata e autoreferenziale. Come diceva Andy Warhol “La cosa più bella di Tokyo è McDonald's. La cosa più bella di Stoccolma è McDonald's. La cosa più bella di Firenze è McDonald's. A Pechino e a Mosca non c'è ancora niente di bello”.
Ora, però, qualcosa è cambiato.

Se il clown giallo e rosso da gioioso sta diventando malinconico è perché l’euforia alimentare a cavallo del nuovo millennio si sta disperdendo in una marea di evoluzioni etico-salutiste-concettuali; o semplicemente un’era cambia e può non identificarsi più con un modello fast-oriented. Se da 1955, con il primo store McDonald’s a Des Plaines in Illinois e con la nascita dei rivali e competitor, si è arrivati al boom dei fast-food, adesso la crescita pare stia subendo una lenta frenata. Le vendite dello scorso anno in USA e Canada vedono un calo dello 0,2% per quanto riguarda McDonald’s e dello 0,9% per Burger King.

Una triste battuta d’arresto per chi ha fatto del whopper o del Big Mac dei simboli pop di una cultura improntata su un forte immaginario. La crescita globale, includendo i nuovi store, è dell’1,1% (rispetto a un 4% attestato nel 2012), quindi a due velocità. Gli analisti parlano di mercato saturo per gli USA, e l’assenza di nuove nicchie da scoprire e da cui provare a riguadagnare mercato. L’evoluzione delle catene appare vincente nell’esternalizzare ai franchising. Il paradosso dei dati mostra che gli store extra-USA funzionano bene e sono in grado di aiutare la madrepatria. Ci sono degli studi che hanno provato a tracciare una “linea etnica” di demarcazione dei consumi, e per fattori geolocalizzati ci sono aree più inclini, in questo momento, alla cultura dei fast-food rispetto ad altre; McDonald’s ha adottato la strategia “Leading with Ethnic Insights” per avere spunti da cui individuare dove la crescita accelera.

Alcuni analisti di Wall Street sostengono che, adesso che in USA i fast-food hanno raggiunto il top, possono solo naturalmente seguire il corso del declino e affidarsi al loro status “globale” per recuperare terreno altrove, mentre cresce sempre di più la generazione di chi cerca cene culturalmente diverse: sane, biologiche, di sicura provenienza e dai menu sempre più personalizzati. Il futuro di McDonald’s, Burger King e YUM sarebbe riposto in Cina, Brasile, nei paesi emergenti che, se nel 1994 rappresentavano la metà del fatturato, ora raggiungono i 2/3 pieni. Si è rivelato fallimentare anche il tentativo dei fast-food di incrociare i neo-consumatori salutisti riempendo i propri menu di insalate, sandwich e cibi poco calorici: non ha senso, secondo gli analisti, perché chi va da McDonald’s cerca un hamburger e patatine fritte, proprio per i simboli che il brand porta con sé.

Per questa ragione lo scorso anno il CEO di McDonald’s Don Thompson ha riconosciuto che le Caesar salad non vendevano bene e sarebbe stato meglio eliminarle dai menu; lo stesso ha fatto Burger King con le patatine con poche calorie. L’immagine del clown triste può riassumere la macro-tendenza dei fast-food su scala discendente: tra i continui scioperi dei dipendenti, scontenti dei salari, e la concentrazione di vendite nei paesi emergenti che stanno superando il successo negli USA, McDonald’s e gli altri appaiono come il malinconico scampolo di un modello culturale che sta per essere sorpassato.
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