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La lotta di Levi's contro sè stessa

25 Luglio 2014 09:05
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Levi’s è ormai un marchio storico dell’abbigliamento a livello globale ed è sinonimo di jeans. Fu infatti nel 1873 che l’immigrato bavarese Levi Strauss insieme a Jacob Davis, diedero alla luce e brevettarono il capo di abbigliamento pensato per essere resistente e adattarsi bene alle condizioni di lavoro più estreme.

I blue jeans si diffusero molto rapidamente e nel corso degli anni divennero un capo adatto sia alle donne sia agli uomini di tutte le età ed estrazioni sociali. Grazie alla versatilità del capo e a campagne pubblicitarie di successo, spesso accompagnate da testimonial di indiscussa fama e popolarità, l’azienda Levi’s Strauss & Co. si affermò sul mercato fino ad arrivare ad essere la più grande compagnia di abbigliamento a livello planetario, raggiungendo un fatturato di 8 miliardi di dollari negli anni ’90.

Ma la Società, dopo aver toccato la vetta, inizia una rapida discesa che la porta a dimezzare il fatturato entro il 2009. I fattori di questo tracollo sono molteplici, a iniziare dal continuo ingresso di nuovi competitor in grado di posizionarsi in maniera differente sul mercato grazie a prezzi inferiori o focalizzando il proprio posizionamento marketing in aree ben definite. La forza di Levi’s e del suo brand è andata quindi scemando a causa della forte identificazione con una sfera valoriale del marchio ormai obsoleta e difficile da modificare nell’immaginario collettivo; ne è prova il fallimentare tentativo di spingere una linea di prodotti nel segmento sportivo da donna.

La mancata azione decisa verso una politica di prezzo ha ancorato il prodotto in un limbo che lo vede a metà tra i jeans di bassa qualità ed economici di grandi marchi della distribuzione, come H&M e Zara, e quelli alla moda e costosi di brand più giovani come Diesel, fondata dall’italiano Renzo Rosso, o True Religion.
Secondo quanto ha rivelato all’Economist Chip Bergh, CEO della Compagnia, solo un quarto delle vendite dei prodotti arrivano dagli store e dal portale di e-commerce di Levi’s , ed i dati rivelano che, mentre per i competitor ad ogni jeans venduto si associano anche due magliette, nel caso di Levi’s questo rapporto è nettamente più basso.

È proprio partendo da questi dati oggettivi che la Società sta facendo i propri sforzi per cambiare la situazione, attraverso l’apertura di nuovi store e attraverso sponsorship con importanti team sportivi, primo tra i quali quello di football dei San Francisco 49ers, utili per incentivare l’acquisto da parte del pubblico maschile. Propria su questa scia la Società sta cercando di riproporre il proprio progetto che vede il posizionamento del marchio in un settore più sportivo, attraverso lo studio ed il lancio di nuovi prodotti più affini al segmento, come per esempio jeans che coniugano le caratteristiche del denim con una maggiore flessibilità dei capi sportivi per praticare yoga o ancora jeans più adatti e comodi per coloro che vanno in bicicletta.

Oltre a nuovi prodotti, Levi’s starebbe mettendo in atto una drastica revisione delle spese che la porterebbe a risparmiare 200 milioni di dollari all’anno. Tra i tagli anche la riduzione del 20% dei dipendenti non direttamente impiegati nella manifattura dei jeans o nei diversi store. Una mossa che riporta alla mente quanto capitato alla società nel 1906, quando, a seguito del terremoto e l’incendio di San Francisco, vennero preservati i salari degli impiegati attraverso l’apertura di stabilimenti provvisori.

Secondo l’Economist questa manovra potrebbe essere preludio per la quotazione in borsa della Società, che, nonostante la sua grandezza, ad oggi opera ancora con capitale proprio. Insomma, un periodo di rivoluzione e profondo cambiamento per il marchio che deve affrontare problemi che si potrebbero definire esistenziali e di passaggio tra la gloria del passato all’adozione di un sistema più moderno.
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