Argentina
Il giorno della verità per i Tango bond argentini
30 Giugno 2014 10:10

i saprà se il governo di Buenos Aires pagherà le cedole del proprio debito ristrutturato.
Una decisione che lascia con il fiato sospeso molti investitori tra i quali ci sono anche le 400 mila famiglie italiane che hanno deciso di accettare il concambio tra i vecchi titoli del debito argentino nelle loro mani con i nuovi titoli governativi e che ora potrebbero ritrovarsi con bond che non pagano interessi e, in prospettiva, non restituiranno il capitale a scadenza.
Il Governo di Buenos Aires ha assicurato che ha già depositato i fondi necessari per il regolare pagamento delle cedole in scadenza oggi, ma più di un osservatore ritiene che ciò potrebbe anche non accadere. O almeno non oggi.
Se entro stasera l’Argentina non liquiderà le cedole del proprio debito ai possessori dei bond governativi avrà 30 giorni di tempo prima di essere definita tecnicamente in default (cioè fallita).
Questo periodo di tempo, secondo alcuni osservatori ben informati, potrebbe essere utilizzato per finalizzare le trattative (già avviate dietro le quinte) con i fondi hedge in possesso di titoli del debito non concambiati con i nuovi titoli: in base alla sentenza della Corte americana (competente in quanto i titoli del Tesoro argentino furono emessi sotto la legge dello stato di New York) che ha rigettato il ricorso dell’Argentina, Buenos Aires dovrà prima pagare questi debitori e solo dopo potrà onorare gli obbligazionisti aderenti al concambio.
Il problema è che per soddisfare questa richiesta l’Argentina dovrebbe versare fino a 15 miliardi di dollari, cioè circa la metà delle proprie riserve valutarie. Insomma un vero e proprio groviglio difficile da sbrogliare. Ma a cui si dovrà trovare una soluzione altrimenti i contraccolpi si faranno sentire non soltanto nei già martoriati portafogli dei 400 mila risparmiatori italiani ma anche su tutte le emissioni obbligazionarie dei paesi emergenti con il rischio di un pericoloso timore di effetto contagio che renderebbe instabili i mercati emerging markets, che sono ancora alla ricerca di un punto di equilibrio dopo 12 mesi vissuti sull’ottovolante.
Una decisione che lascia con il fiato sospeso molti investitori tra i quali ci sono anche le 400 mila famiglie italiane che hanno deciso di accettare il concambio tra i vecchi titoli del debito argentino nelle loro mani con i nuovi titoli governativi e che ora potrebbero ritrovarsi con bond che non pagano interessi e, in prospettiva, non restituiranno il capitale a scadenza.
Il Governo di Buenos Aires ha assicurato che ha già depositato i fondi necessari per il regolare pagamento delle cedole in scadenza oggi, ma più di un osservatore ritiene che ciò potrebbe anche non accadere. O almeno non oggi.
Se entro stasera l’Argentina non liquiderà le cedole del proprio debito ai possessori dei bond governativi avrà 30 giorni di tempo prima di essere definita tecnicamente in default (cioè fallita).
Questo periodo di tempo, secondo alcuni osservatori ben informati, potrebbe essere utilizzato per finalizzare le trattative (già avviate dietro le quinte) con i fondi hedge in possesso di titoli del debito non concambiati con i nuovi titoli: in base alla sentenza della Corte americana (competente in quanto i titoli del Tesoro argentino furono emessi sotto la legge dello stato di New York) che ha rigettato il ricorso dell’Argentina, Buenos Aires dovrà prima pagare questi debitori e solo dopo potrà onorare gli obbligazionisti aderenti al concambio.
Il problema è che per soddisfare questa richiesta l’Argentina dovrebbe versare fino a 15 miliardi di dollari, cioè circa la metà delle proprie riserve valutarie. Insomma un vero e proprio groviglio difficile da sbrogliare. Ma a cui si dovrà trovare una soluzione altrimenti i contraccolpi si faranno sentire non soltanto nei già martoriati portafogli dei 400 mila risparmiatori italiani ma anche su tutte le emissioni obbligazionarie dei paesi emergenti con il rischio di un pericoloso timore di effetto contagio che renderebbe instabili i mercati emerging markets, che sono ancora alla ricerca di un punto di equilibrio dopo 12 mesi vissuti sull’ottovolante.
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