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L'Indonesia tenta di ingranare la marcia

11 Aprile 2014 09:10
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Un quarto trimestre 2013 da brivido per l’Indonesia. Il PIL è arretrato dell’1,4% rispetto al trimestre precedente, l’inflazione è rimasta sopra quota otto per cento, i tassi di interesse sono saliti fino al 7,5% e 18 miliardi di dollari di riserve valutarie sono state bruciate dalla banca centrale del paese nel tentativo di sostenere la rupia indonesiana in caduta libera (che ha comunque chiuso il 2013 in contrazione del 21% rispetto al dollaro USA). Per tutte queste ragioni il governo di Giacarta ha accelerato per voltare pagina con l’obiettivo di tornare a crescere. E i primi segnali in questo senso sono già ben visibili.

Innanzitutto i gestori di fondi globali hanno investito oltre un miliardo di dollari nella Borsa e nei bond indonesiani da inizio anno; flussi che hanno influito positivamente sia sulla Borsa (in crescita di oltre il 5% da inizio anno dopo la perdita del 32% registrata nel 2013) che sulla divisa: il fixing della rupia si è infatti stabilizzato e, tra le valute dei paesi emergenti, è quella che meglio si è comportata rispetto al dollaro USA nei primi tre mesi del 2014.

Tutto bene per Giacarta? Non proprio, perché alcuni problemi strutturali restano sul tappeto. Il paese, che tra il 2007 e il 2011 ha raddoppiato l’export di materie prime di cui è ricco (carbone, gomma, olio di palma e minerali) e che rappresentano nel loro insieme la metà del controvalore complessivo delle esportazioni, ha accusato il contraccolpo del brusco calo dei prezzi delle commodity degli ultimi due anni.

Inoltre, le esportazioni di petrolio e gas sono enormemente diminuite in quanto ora il paese non riesce più a soddisfare le richieste interne: basti pensare che l’Indonesia necessita di 1,3 milioni di barili di greggio e le raffinerie del paese non vanno oltre i 770 mila barili.
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