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Tre nubi all’orizzonte in un cielo sereno

16 Gennaio 2014 14:00
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L’attuale ambiente favorevole alle azioni potrà perdurare grazie alle migliori prospettive dell’economia mondiale e al continuo afflusso di capitali nei mercati azionari. Ne è convinto Christophe Bernard, Chief Strategist di Vontobel per il quale sulla scia della ripresa economica mondiale, delle politiche monetarie accomodanti, della bassa inflazione e dell’elevata redditività delle aziende, le azioni potranno continuare a fornire rendimenti allettanti anche nel 2014, almeno in confronto ai titoli a reddito fisso. Tuttavia, tiene a precisare Christophe Bernard, gli operatori tendono a dimenticare che il mercato azionario non è una via a senso unico. Il riferimento è alle tre potenziali nubi che Christophe Bernard intravede all’orizzonte (seppure lontano).


1. Possibile impennata dei rendimenti dei titoli di Stato
Un rapido aumento dei rendimenti degli US Treasury decennali rispetto all’attuale 3% eserciterebbe indubbiamente una pressione ribassista sui mercati azionari. Con una crescita dell’economia statunitense attesa intorno al 3% sui prossimi tre anni e un tasso di inflazione ipotizzato all’1,5%, il rendimento «fair-value» degli US Treasury decennali dovrebbe convergere verso un range del 4%-4,5%. I mercati azionari sono in grado di assorbire un graduale rialzo a questi livelli sull’arco dei prossimi 18-24 mesi, ma rischiano di deragliare se il cambiamento sarà repentino.

La Federal Reserve (Fed) è ben consapevole di questo rischio e mantiene volutamente a zero i tassi di interesse chiave finché l’inflazione è favorevole e il mercato del lavoro non dà segni di restringimento. Di conseguenza, poiché la curva dei rendimenti è già molto ripida, i rendimenti delle obbligazioni a lunga scadenza non possono teoricamente salire molto di più. In circostanze eccezionali come quelle odierne, la storia può però rivelarsi una cattiva consigliera.

Se dovesse succedere il peggio, cioè se il restringimento delle condizioni finanziarie dovesse compromettere la ripresa economica negli USA, la Fed potrebbe intervenire e aumentare di nuovo il ritmo degli acquisti di obbligazioni. Nella situazione attuale, il rischio di un aumento significativo e imminente dei rendimenti dei
titoli di Stato è generalmente modesto. Se si dovesse verificare, farebbe comunque scattare quasi certamente una risposta delle autorità monetarie.


2. Opera incompiuta nella zona euro
La minaccia immediata che incombeva sull’unione monetaria si è allentata grazie a una rapida riduzione dei deficit delle bilance correnti nei paesi cosiddetti periferici e al successo dei meccanismi non convenzionali della Banca centrale europea (BCE), noti sotto il nome di Outright Monetary Transactions. I rendimenti dei titoli di Stato decennali italiani e spagnoli sono scesi sotto la soglia del 4%, mentre gli spread rispetto ai bund decennali tedeschi si sono ridotti a 200 punti base contro gli oltre 500 (Italia) e 600 (Spagna) del giugno 2012. Il prezzo da pagare è stato tuttavia alto: aumento della disoccupazione e stagnazione economica.

Le misure della BCE e, di conseguenza, la mancanza di pressioni da parte degli investitori obbligazionari, hanno avuto inoltre l’effetto negativo di rallentare gli sforzi compiuti dai governi per risolvere i problemi alla radice. Eppure, senza ulteriori riforme, la crescita rimarrà sostanzialmente debole, il che a sua volta intralcerà la capacità dei governi di contenere il loro debito. È interessante vedere come l’unione bancaria, che sta prendendo forma nella zona euro, sia solo una lontana reminiscenza di quello che i leader europei avevano promesso nel giugno 2012.

L’assenza di una struttura credibile di crediti reciproci a livello di zona euro lascia in ultima istanza ai singoli paesi l’eventuale rischio finanziario. Il modo di affrontare le banche in difficoltà sembra lento, se non addirittura inefficiente. In generale, la situazione è stata portata sotto controllo solo grazie all’approccio non convenzionale della BCE e ai dolorosi provvedimenti adottati nella periferia, ma i problemi di lungo termine rimangono irrisolti.


3. Rischio di una sconfitta dei mercati emergenti
Non c’è dubbio che le metriche del credito siano sostanzialmente migliorate nell’ultimo decennio, tanto da rendere poco probabile il ripetersi di gravi crisi come quelle del passato (Asia 1997, Russia 1998, Argentina 2001). Tuttavia, il rating aggregato degli emittenti sovrani dei mercati emergenti non è salito nel 2013 e le bilance delle partite correnti hanno subito un deterioramento in molti casi. Il quadro fondamentale è eterogeneo: molti paesi accusano un rallentamento dei consumi trainati dal credito e, in generale, una mancanza di riforme capaci di attrarre capitale estero. Emittenti vulnerabili come l’Indonesia, il Brasile, l’India, la Turchia e il Sudafrica, andranno alle urne nel 2014. L’esito delle elezioni influenzerà le prospettive a medio termine delle principali economie emergenti.

“Pur rimanendo ampiamente fiduciosi per i mercati finanziari nel 2014, siamo consapevoli dei potenziali pericoli che potrebbero fermare l’attuale corsa rialzista, e li seguiremo con grande attenzione” è la promessa di Christophe Bernard.
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