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“Coronavirus, con gli stimoli giusti l’economia cinese può rimbalzare”

Scotland (Brandywine Global, affiliata Legg Mason) prevede che il coronavirus forzerà, nonostante la riluttanza delle autorità di Pechino, nuove misure di stimolo che dovrebbero portare ad un rimbalzo dell’economia

di Leo Campagna 13 Febbraio 2020 19:00

In attesa di conoscere se si riesce - e come - a contenere l’epidemia di coronavirus partita da Wuhan, le misure adottate per contrastarne la diffusione stanno smorzando la flebile ripresa della manifattura globale e, soprattutto, stanno minando le prospettive di crescita cinese.

POSSIBILE UN RIMBALZO A ‘V’ PER L’ECONOMIA CINESE


“Le autorità cinesi sono riluttanti all’adozione di nuove misure di stimolo per salvare la crescita. Tuttavia, i tempi dell’emergenza si allungano e potrebbero non lasciare alternative. Se la crisi sanitaria non dovesse degenerare, non si può escludere un rimbalzo a “V” dell’economia cinese”, fa sapere Francis Scotland, Director of Global Macro Research di Brandywine Global, affiliata Legg Mason.

IL CONTRIBUTO ALLA CRESCITA GLOBALE DELLA CINA


Una tesi, la sua, basata su un’approfondita analisi della situazione che parte da un punto fermo: negli ultimi dieci anni le dimensioni e il contributo alla crescita globale della Cina hanno assunto un ruolo determinante per prevedere lo sviluppo economico mondiale. A questo proposito vale la pena ricordare che la guerra commerciale tra Washington e Pechino ha spinto le aziende a ricollocare le loro catene di fornitura fuori dai confini cinesi: l’epidemia in corso potrebbe dare un’ulteriore spinta in questa direzione. Un ulteriore colpo al trend negativo della crescita del Pil cinese, derivante sia da una riduzione dei guadagni di produttività e sia da una contrazione della forza lavoro.

IN 11 ANNI IL RAPPORTO DEBITO/PIL IN CINA E’ CRESCIUTO DI OLTRE 100 PUNTI


Per contrastare gli effetti negativi di questa emergenza sanitaria, le autorità cinesi potrebbero essere ‘costrette’ a far ricorso alla leva finanziaria, sebbene negli ultimi anni abbiano ripetuto più volte che non hanno intenzione di ricorrere di nuovo a simili misure. Il motivo è evidente. La Cina, a seguito del collasso del mercato dei mutui Usa, ha stanziato ingenti risorse finanziarie per sostenere la domanda interna e i prezzi alla produzione. La risultante è che, in 11 anni, il rapporto debito/Pil è cresciuto di oltre 100 punti percentuali, soprattutto a causa di un incremento del debito e della spesa delle imprese statali.

ALLOCAZIONE DEL CAPITALE DECISA DALL’ALTO


“Si è optato per un’allocazione del capitale decisa d’autorità e non basata su un meccanismo razionale di determinazione dei prezzi. Questo ha provocato la crescita dei non-performing loans (sofferenze) nel sistema bancario e il calo dell’efficienza marginale del credito in termini di Pil creato”, spiega Scotland. Secondo il quale oggi il governo di Pechino ha scarsi margini di manovra a livello fiscale mentre alla banca centrale fa capo il compito di monetizzare le perdite.

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SCELTA (FORSE) OBBLIGATA PER I LEADER CINESI


Per l’esperto, una soluzione potrebbe essere quella di una ristrutturazione che consente alle società private un rapido accesso al credito, basata su una valutazione razionale di prezzi e rischi. Opzione che, tuttavia, si scontra con l’approccio dell’attuale amministrazione che resta incline ad una gestione centralizzata del credito. “Resta il fatto che, se la crisi sanitaria andrà avanti, è probabile che i leader cinesi possano trovarsi obbligati ad attuare significative misure di stimolo, a seguito delle quali l’economia potrebbe registrare un rapido rimbalzo”, conclude Scotland.
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