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Usa e Cina come Tom e Jerry: gioco insidioso per l’Europa

Secondo l’analisi di Vontobel AM sui dazi è partito un gioco che potrebbe scappare di mano e che colpisce anche l’Europa. C’è il rischio di una escalation pericolosa, ma alla fine dovrebbe prevalere il buon senso

di Redazione 4 Giugno 2019 13:00
financialounge -  dazi Frank Häusler Guerra commerciale Vontobel https://www.flickr.com/photos/70344776@N04/6387951013

Il vecchio cartone animato di Tom e Jerry è la metafora scelta da Frank Häusler, Chief Strategist di Vontobel Asset Management, per descrivere il gioco pericoloso che sta impegnando Usa e Cina sul fronte dei dazi, con Donald Trump nei panni del gatto predatore e il presidente cinese Xi Jinping in quella del topolino che spesso riesce ad avere la meglio grazie ad astuti colpi di mano. Il rischio è che i due rivali continuino a tendersi trappole da cui non uscirà nessun vincitore, una possibilità che gli investitori devono prendere in considerazione anche se sperano nel contrario, con un terzo personaggio che interpreta la parte del danno collaterale e che si chiama Europa, anche perché la guerra che oggi si combatte, a colpi di dazi e scontri verbali, è potenzialmente in grado di sconvolgere i mercati globali.

NEL CLUB DEI PAESI APERTAMENTE PROTEZIONISTI?


L’esperto ripercorre gli eventi che hanno portato alla situazione attuale partendo dal 2018, quando gli Stati Uniti hanno imposto dazi sulle importazioni di pannelli solari, lavatrici, alluminio e acciaio. Subito dopo Washington ha esplicitamente individuato nella Cina il proprio bersaglio principale, con l’adozione, nel settembre dello stesso anno, di dazi del 10% su 200 miliardi di dollari Usa di importazioni cinesi. Il recente incremento al 25% ha aumentato il livello medio dei dazi statunitensi al 4,6%, un livello che alcune economie emergenti utilizzano come barriera contro le importazioni a basso costo. Nuove misure, come l’imposizione di un dazio del 25% su altri 300 miliardi di dollari di importazioni dalla Cina, nonché sulle auto e componenti di fornitori globali, avrebbero conseguenze ancor più gravi e collocherebbero gli Usa nella categoria di paesi apertamente protezionisti come Venezuela, Congo e Mali. Trump deve decidere entro novembre 2019 se veramente desidera entrare in questo club.

LA REAZIONE PASSIVA-AGGRESSIVA ADOTTATA DA PECHINO


Häusler osserva che finora il peso delle importazioni colpite dall’escalation è ancora troppo esiguo per esercitare un impatto apprezzabile sul Pil o sull’inflazione americani, ma l’inflazione potrebbe registrare un’impennata dopo l’aumento dei dazi del 10 maggio, anche se alcune imprese statunitensi possono abbandonare i fornitori cinesi per altri produttori a basso costo. Tuttavia, l’incremento dei dazi sulle importazioni di auto e componenti, oltre che su importazioni cinesi finora sfuggite aTrump, muterebbe il quadro, con un calo del Pil statunitense pari a un punto percentuale. A tutto questo la Cina risponde con una reazione passiva-aggressiva. Dopo la sorpresa per la disordinata iniziativa di Washington, ha intrapreso un’azione di controllo dei danni che ha evitato il peggio. La seconda economia mondiale ha annunciato misure di ritorsione riguardanti importazioni statunitensi per 60 miliardi di dollari: in confronto, una cifra modesta. A partire da giugno gli esportatori degli Stati Uniti saranno colpiti da un dazio medio del 14% per le spedizioni dirette in Cina, rispetto al precedente 7%.

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IMPATTO LIMITATO SULLA CRESCITA CINESE


Ma la Cina sta esaurendo le opzioni, anche se, proprio come il topolino Jerry, non è affatto priva di mezzi per difendersi. In quanto massimo acquirente mondiale di titoli di Stato USA, potrebbe venderne una posizione significativa. In alternativa, potrebbe interferire sulle imprese americane in territorio cinese, per esempio ostacolando la vendita di aerei. Attualmente, le stime di Vontobel indicano una riduzione potenziale del Pil pari a 0,3 punti l’anno a causa dei dazi, che consentirebbe comunque alla Cina di crescere a un tasso lievemente superiore al 6%. Andrebbe sotto il 6% solo in caso di guerra commerciale in piena regola. Intanto le misure di stimolo già adottate dalla Cina possono compensare in parte l’impatto negativo. Bisogna anche ricordare che negli ultimi anni Pechino ha ridotto la sua dipendenza dalle esportazioni, mentre l’inflazione resta sotto controllo: di recente la People’s Bank of China ha dichiarato che non dovrebbe superare il 3%.

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UNA PARTE DA SIGNORA DI MEZZA ETÀ


L’Europa invece in questo cartone animato recita una parte da non protagonista, quella della signora di mezza età che spesso deve subire le conseguenze del caos provocato da Tom e Jerry. La ritorsione dell’UE contro i dazi su alluminio e acciaio di Trump ha fatto lievitare il tasso di dazio ponderato sulle import di appena 0,03 punti percentuali, mentre un’ulteriore escalation potrebbe aumentarlo di 0,5 punti, fino a toccare il 2,3%: un livello ancora in linea con quello di un tipico paese industriale. Ma in Europa il conflitto commerciale è più dannoso per il sentiment di mercato che direttamente per il PIL o l’inflazione, e a un certo puntol’indebolimento del sentiment finirà per incidere sugli investimenti e sui consumi, riducendo la crescita.

BASTA CHE IL GATTO ACCHIAPPI I TOPI


L’osservazione finale dell’esperto di Vontobel è che quando due superpotenze si scambiano dazi come se fossero insulti, bisogna preoccuparsi. Ma aggiunge che fortunatamente la crescita globale si sta stabilizzando, con segnali di ripresa in alcune economie importanti, mentre le maggiori banche centrali hanno adottato politiche monetarie più generose.Quindi in una situazione differente da fine 2018. È’ possibile che il conflitto si inasprisca ulteriormente, ma Häusler confida che Stati Uniti e Cina adottino un atteggiamento più razionale: “Dopo tutto, come dice un proverbio cinese, non importa se il gatto è bianco o nero, basta che acchiappi i topi”.
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