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Ritorno alla normalità? Alle banche centrali non basta premere il tasto rewind

La liquidità immessa dalle banche centrali ha alterato profondamente il sistema. Con le incertezze in crescita, è bene focalizzarsi sulla preservazione del capitale, spiega Carlo Benetti di GAM.

13 Luglio 2018 12:19

Più o meno negli stessi giorni a metà giugno, sei importanti banche centrali hanno tenuto il loro meeting periodico. Con mosse tutt’altro che sincronizzate sebbene accomunate dal filo rosso della prudenza.

La Federal Reserve ha aumentato i tassi di riferimento e la BCE ha confermato la fine del QE entro l’anno, indicando nella fine estate 2019 il primo aumento dei tassi.

Inoltre Bank of Japan e Banca Nazionale Svizzera hanno confermato i tassi negativi, mentre Bank of England e Norges Bank (la banca centrale della Norvegia) hanno lasciato invariato allo 0,50% il tasso di riferimento.

TORNARE ALLA NORMALITÁ


Prudenza dettata dall’acuirsi delle guerre commerciali che rischia di far deragliare la ripresa globale ma che, almeno per il momento, non sembra allontanare i banchieri centrali dall’obiettivo di tornare alla ‘normalità’. “Che vorrebbe dire tornare alle condizioni pre-crisi, però, nel frattempo, non solo sono cambiate molte cose ma la stessa liquidità immessa dalle banche centrali ha così profondamente alterato il sistema che il ripristino della normalità non può ridursi alla semplice pressione del tasto rewind del Quantitative Easing e avviare uno speculare e opposto Quantitative Tightening”, tiene a precisare Carlo Benetti, Head of Market Research and Business Innovation di GAM (Italia) SGR, nell'Alpha e il Beta del 9 luglio 2018.

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RIDUZIONE DELLO STIMOLO MONETARIO


Le cose non cambierebbero molto nemmeno se la normalità significasse riduzione progressiva dello stimolo monetario. Anche in questo caso ci sarebbero problemi: qual è il momento giusto per togliere il robusto sostegno monetario dall’economia reale? “Per quanto riguarda l’Eurozona, Draghi ha chiarito che la normalizzazione monetaria deve seguire, non precedere, quella economica. In ogni caso l’escalation ritorsiva delle tariffe rischia di compromettere le prospettive di crescita e alterare il sentiero che i banchieri centrali hanno predefinito. Ufficialmente l’obiettivo da traguardare restano i livelli di inflazione fermo restando che il nuovo contesto rende difficile delineare quali siano i tassi naturali di disoccupazione e di inflazione”, puntualizza Carlo Benetti. D’altra parte, non è escluso che, una volta terminati i programmi straordinari dei QE, i rendimenti restino ancora bassi.

FATTORI STRUTTURALI DI LUNGO TERMINE


“Infatti, dietro il rallentamento dell’attività economica ci sono fattori strutturali di lungo termine come la contrazione della forza lavoro, effetto delle dinamiche demografiche, e i deboli avanzamenti nella produttività. I Baby-Boomers, i nati tra il 1946 e il 1964, stanno via via andando in pensione (buon per loro), sostituiti da automazione e coorti di giovani con minore esperienza, minori tutele e meno costosi”, spiega Carlo Benetti. Il tutto senza trascurare un ulteriore fattore di pressione verso il basso dei rendimenti: l’abbondanza di capitale, ovvero l’eccesso di risparmio sulle intenzioni di investimento.

LE SOLUZIONI


Che fare? “Le molteplici fonti di incertezza dai molteplici possibili esiti suggeriscono di porre maggior enfasi sulla preservazione del capitale. Le scelte allocative del nostro portafoglio multi-asset sono frazionate in una moderata esposizione al rischio azionario, in una molto bassa esposizione al reddito fisso governativo senza rischio di duration (scadenza media dei titoli con riduzione della sensibilità alle variazioni dei tassi, ndr), in una attenta selezione di strategie non direzionali e a bassa correlazione. Inoltre confermiamo (ma con una lieve riduzione) l’esposizione alle strategie ad alto beta in Europa e nei mercati emergenti, prestando estrema attenzione all’evoluzione dello scenario globale”, è la ricetta finale formulata da Carlo Benetti.
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