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Addio vecchie ideologie, lo scontro in atto riguarda la globalizzazione

Nessuno scontro tra Est e Ovest: oggi è la Cina a insidiare gli USA in ambiti in cui la leadership americana è stata incontrastata. Ma la vera sfida riguarda la globalizzazione e i suoi effetti, spiega Benetti di GAM

4 Luglio 2018 12:47

Come negli anni Trenta, e poi negli anni della Guerra Fredda, è in atto uno scontro ideologico che però nulla ha a che fare con le ideologie del passato. Lo fa notare Carlo Benetti, Head of Market Research and Business Innovation di GAM (Italia) SGR, nell'Alpha e il Beta del 2 luglio 2018.

LE CRITICHE ALLA GLOBALIZZAZIONE


Da una parte si schiera chi indica nel libero scambio, nella circolazione di merci, capitali e persone, la causa dell’impoverimento dei ceti più fragili come conseguenza della globalizzazione. Dall’altra figurano invece i sostenitori accaniti dell’ordine liberale e della collaborazione multilaterale guidata da organismi internazionali quali la Banca Mondiale, il Fondo Monetario, l’Organizzazione del Commercio Mondiale.

LA GUERRA PER IL PRIMATO TECNOLOGICO


Ma, in realtà, la vera posta in gioco è nella guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina e, più in particolare nel primato tecnologico. Oggi Pechino sfida Washington in ambiti (difesa e tecnologia) in cui la leadership americana è stata fino ad oggi incontrastata. L’obiettivo cinese ‘Made in China 2025’ prevede per quell’anno l’autosufficienza, per almeno il 70%, negli ambiti Information Technology, robotica, auto elettriche e sistemi di guida autonoma.

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LA RICERCA DI LEADER FORTI


Resta il fatto che, come negli anni Trenta, la semplificazione della politica conduce al leaderismo. “L’Economist riporta che meno di un terzo dei giovani americani ritiene essenziale vivere in democrazia. Avanza la tentazione dell’uomo forte - Duterte, Erdogan, Al Sisi, Putin, Maduro, Orban - che parla tranquillamente di ‘democrazia illiberale’” sottolinea Carlo Benetti. Secondo l’esperto, sebbene l’attuale contesto non sia certo paragonabile a quello degli anni ’30, sarebbe tuttavia rischioso sottovalutare alcuni segnali.

LO SCUDO DEL REALISMO ECONOMICO


“Il nemico del populismo nazionalista non è il globalismo elitario, scrive l’economista Kaletsky, ma il realismo economico” specifica Carlo Benetti il cui riferimento è anche a quanto accaduto 5 anni fa e a quanto sta avvenendo oggi. “Nel maggio 2013, l’allora presidente della Fed, Ben Bernanke, annunciava l’avvicinarsi della svolta nella politica monetaria della Fed (il cosiddetto taper tantrum): la reazione dei mercati fu immediata e violenta, con il forte rialzo dei tassi dei Treasury e il sell-off (vendite sul mercato senza limitazione né di prezzo né di quantità, ndr) su valute e obbligazioni emergenti. Cinque anni dopo, e dopo il settimo aumento dei tassi dal dicembre 2015, le reazioni del mercato sono molto diverse” illustra l’esperto.

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POWELL SENSIBILE ALL’ECONOMIA DOMESTICA


Certo l’attuale presidente della Fed, Powell, è più sensibile alle condizioni dell’economia domestica che alle ripercussioni internazionali delle sue scelte, e la Fed aumenterà ancora i tassi quest’anno e proseguirà l’anno prossimo: ma il tutto a condizione che la disoccupazione resti bassa e la crescita economica prosegua. Intanto sia la crescita debole della forza lavoro che il flebile incremento della produttività potrebbero costituire fenomeni strutturali di lungo termine nelle economie avanzate tali da ostacolare il rialzo dei rendimenti.

Scenario economico di giugno 2018


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RENDIMENTI BASSI ANCHE DOPO I QE


“Non si può escludere la possibilità che i rendimenti restino bassi anche dopo il termine dei QE, un’eventualità con implicazioni per i portafogli e gli investitori” è la riflessione finale di Carlo Benetti. Che poi aggiunge alcune preziose indicazioni: “L’inflazione e l’occupazione restano le grandezze da tenere d’occhio, il dollaro, sostenuto dal doppio drenaggio di liquidità di banca centrale e Tesoro, metterà sotto pressione le valute e gli asset delle economie emergenti”.
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