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Maurizio Novelli

Correzione o solo una pausa?

La sbandata del Dow Jones mostra quanto sia scoperto il nervo dei tassi e dell’inflazione. I rischi di contagio in Europa e in Italia. Ma il Super Bowl che si è giocato questa notte a Minneapolis dice che ci aspetta un anno Toro.

5 Febbraio 2018 09:37
financialounge -  Maurizio Novelli mercati azionari SuperBowl T-bond volatilità Wall Street Weekly Bulletin

“Una Fed costretta dai dati a rincorrere anziché precedere le dinamiche reali dell’economia è proprio il tipo di shock che potrebbe far male”. L’ultima volta lo abbiamo scritto due settimane fa. E venerdì scorso c’è stata la dimostrazione di quanto sia sensibile Wall Street a questo fattore. Un’ora prima dell’apertura esce il Job Report di gennaio, che segna una crescita dei salari del 2,9%, il guadagno mensile più forte da giugno 2009. Il pensiero del mercato va alla Fed, potrebbe essere in ritardo con i rialzi dei tassi. Il rendimento del T-bond a 10 anni schizza verso l’alto e un’ora dopo il Dow Jones parte in picchiata. A fine seduta il conto è di 666 punti (un numero satanico che ogni tanto Wall Street tira fuori non necessariamente per segnalare che siamo precipitati all’inferno, i 666 punti dello S&P 500 di marzo 2009 segnarono la fine del crollo e la partenza del Toro che dura da 9 anni) o del 2,5%, che ha portato il calo della settimana al 4,1%. Niente di spettacolare, non basta ad annullare i guadagni accumulati da inizio anno, ma un’anomalia rispetto all’andatura tranquilla al rialzo a cui si era abituati da novembre 2016.

L’indice VIX che misura la volatilità fa un sobbalzo, e il rendimento del Treasury a 10 anni fa un passo importante verso il 3%, che nei giorni scorsi abbiamo definito la soglia del dolore sia per le azioni che per il reddito fisso, soprattutto quello ad alto rendimento.
I volumi sono stati superiori ai 500 milioni di pezzi sul Dow, nella parte alta del range visto da inizio anno, niente di spettacolare. Oltre ai bond, hanno sofferto soprattutto i cosiddetti ‘dividend stocks’ che negli ultimi anni sono stati gettonati perché il rendimento era superiore ai titoli di Stato a 2 anni, e le utilities, perché sono più sensibili al rialzo dei tassi.

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La cosa buffa è che è successo lo stesso in Europa, dove a differenza degli USA i tassi continuano a viaggiare a zero o sotto, e di inflazione che rialza la testa non c’è proprio traccia. All’Europa e in particolare all’Italia bisogna stare attenti. Il quadro tecnico che ha causato lo scivolone di Wall Street è del tutto assente qui, ma se la debolezza dovesse continuare ancora qualche giorno potrebbe offrire l’occasione per movimenti speculativi legati alle elezioni del 4 marzo: qualche indizio c’è già nelle posizioni al ribasso montate da alcuni grandi fondi di cui parlano in questi giorni i media italiani. Se l’Italia finisse sotto tiro, potrebbe essere una bella occasione per entrare a prezzi scontati. Il mercato ha già prezzato l’incertezza politica e ha deciso di scommettere su una continuità sostanziale nell’azione (o inazione se preferite) di governo, dettata dalla necessità di mettere insieme cose diverse in assenza di un chiaro vincitore.

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Torniamo a Wall Street. C’è chi parla già di “correzione in corso” come l’acuto contrarian Maurizio Novelli, Gestore del fondo Global Strategy Fund di Lemanik, nella sua ultima newsletter. E chi invece vede solo la salutare apertura di una valvola di scarico dopo tanti rialzi, come Ryan Puplava su Seeking Alpha, che sottolinea lo stato di salute della Corporate America, con le trimestrali finora pubblicate che hanno battuto le attese sugli utili 3 volte su 4. Un’idea che circola è che proprio i risultati trimestrali stellari abbiano fatto scattare le vendite, all’insegna di un “tutto sommato possiamo contentarci” e tirare un attimo il fiato, non rischiamo di perdere il treno perché meglio di così non può andare.  Volendo proprio preoccuparsi, bisognerebbe guardare a quello che non c’è nei titoli dei TG e sulle prime pagine dei giornali, fino a qualche settimana fa piene di minacce nucleari da parte del picchiatello Kim e di Medio Oriente sull’orlo di un’esplosione innescata dalle tensioni tra Iran e Sauditi. Il fatto che siano scomparsi dai giornali non vuol dire che quei problemi siano stati risolti, e possono tornare minacciosi con violenza in ogni momento.

Bottom line. La affidiamo a un indicatore poco noto in Europa ma abbastanza popolare negli Stati Uniti, dove nella notte italiana si è giocato il Super Bowl. Parliamo del Super Bowl predictor, che punta a indovinare l’andamento di Wall Street sulla base del vincitore della finalissima del gioco più popolare d’America, assegnando a una delle due squadre la maglia del Toro e all’altra quella dell’Orso, sulla base di un meccanismo complicato e comprensibile solo agli appassionati di questo sport. A Minneapolis la notte scorsa la prima la indossavano gli Eagles di Filadelfia e la seconda i Patriots del New England. Il vincitore segna l’andamento di Wall Street per tutto l’anno. Ha vinto il Toro impersonato dagli Eagles e secondo il predictor regnerà tutto l’anno. Nelle 51 precedenti edizioni del Super Bowl il predictor ha funzionato 40 volte. Nel 2018 si replica?

(dalla rubrica “Caffè scorretto” della newsletter settimanale di FinanciaLounge)
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