Arabia Saudita
Il ritorno del petrodollaro
Biglietto verde e prezzo del greggio si muovono all’unisono in partenza di 2018, complice anche la crisi iraniana. Il primo scende sotto 1,20 e il secondo rompe i 60 dollari. Sarà uno dei temi dell’anno nuovo.
3 Gennaio 2018 10:20

I petrodollari sono dagli anni '70 il suggello di un’alleanza tra arabi e americani. Il dollaro, sganciato da Nixon dall'oro, trova nell’oro nero la sua ancora fisica, mentre i sauditi vengono garantiti che in cambio del petrolio che vendono ricevono i pagamenti nella moneta egemone.
Un patto di mutuo sostegno, che ora sembra rinnovato, complici anche le tensioni che continuano a salire nel Golfo, con l’Iran messo sotto scacco da sauditi e alleati, ora alle prese con la rivolta interna. A differenza della seconda parte del 2017, già dalle primissime ore del 2018 petrolio e dollaro si sono mossi in perfetta sincronia, con il WTI che ha sfondato con decisione quota 60 dollari e il biglietto verde che con altrettanta decisione ha sfondato al ribasso quota 1,20 contro euro.
Una sincronizzazione che deve aver fatto piacere sia a Washington, dove si sa che un dollaro debole, o comunque non troppo forte, piace molto a Donald Trump, perché sostiene le esportazioni americane e rende meno competitive le importazioni, da quelle cinesi a quelle europee. Ma deve aver fatto piacere anche a Riyadh, dove un petrolio che si rafforza premia finalmente le politiche di limitazioni produttive dell’OPEC e restituisce in qualche modo ai sauditi il ruolo di leadership dei produttori.
Un patto di mutuo sostegno, che ora sembra rinnovato, complici anche le tensioni che continuano a salire nel Golfo, con l’Iran messo sotto scacco da sauditi e alleati, ora alle prese con la rivolta interna. A differenza della seconda parte del 2017, già dalle primissime ore del 2018 petrolio e dollaro si sono mossi in perfetta sincronia, con il WTI che ha sfondato con decisione quota 60 dollari e il biglietto verde che con altrettanta decisione ha sfondato al ribasso quota 1,20 contro euro.
Una sincronizzazione che deve aver fatto piacere sia a Washington, dove si sa che un dollaro debole, o comunque non troppo forte, piace molto a Donald Trump, perché sostiene le esportazioni americane e rende meno competitive le importazioni, da quelle cinesi a quelle europee. Ma deve aver fatto piacere anche a Riyadh, dove un petrolio che si rafforza premia finalmente le politiche di limitazioni produttive dell’OPEC e restituisce in qualche modo ai sauditi il ruolo di leadership dei produttori.
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