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Uber rischia di restare a piedi

Non per le proteste dei tassisti, per le restrizioni dei regolatori o per le cause aperte. La vera minaccia è l’auto che si guida da sola.

9 Maggio 2017 09:39
financialounge -  Airbnb daimler settore automobilistico sharing economy uber unicorni

Il potere distruttivo delle nuove tecnologie è l’arma cui si affidano gli Unicorni (aziende innovative che hanno raggiunto la valutazione di almeno un miliardo di dollari) per cercare di far fuori gli incumbent (imprese, solitamente di grandi dimensioni, che sono monopoliste di uno specifico mercato) e prendersi ricchi mercati globali.

Airbnb ci prova con l’industria alberghiera, Uber con l’industria automobilistica, il cui mercato, detto tra parentesi, vale qualcosa come un paio di migliaia di miliardi di dollari l’anno. L’idea base di Uber è che essere proprietario di un’auto sia un fastidio, e che sia meglio usare quella di qualcun altro, soprattutto se questo qualcun altro la guida anche. Poi però spunta un’altra tecnologia ancora più distruttiva, l’auto che si guida da sola.

E qui Uber reagisce in due tempi. Prima il suo numero uno Travis Kalanick descrive l’auto automatica come una minaccia esistenziale. Poi però si butta in tutte le joint venture possibili con i produttori per cercare di avere un posto a bordo sulla nuova frontiera della mobilità. Comincia con acquisire la startup Otto, ma la storia finisce presto in un contenzioso con Google che rivendica la paternità della tecnologia. Intanto non c’è grande casa che non si metta insieme a un partner tecnologico per sviluppare la sua auto che si guida da sola.

Daimler AG, il produttore tedesco di marchi come Mercedes, sceglie proprio Uber e mette in programma la produzione di veicoli autoguidanti dedicati alla startup della sharing economy. Ma qui nasce un altro problema, che mette in crisi le fondamenta stessa del modello di business di Uber, quello di utilizzare le auto degli altri.

Con le auto che si guidano da sole non si può, bisogna essere proprietari della flotta, di una flotta globale fatta di centinaia di milioni di veicoli. Una infrastruttura incredibilmente costosa, soprattutto per chi non ha mai fatto il mestiere di produrre e vendere automobili, come appunto Uber. È come se improvvisamente a Airbnb il mercato chiedesse di costruire fisicamente alberghi, invece di usare le case degli altri.

È il limite della sharing economy, che è costruita non su una nuova tecnologia o su un nuovo prodotto, ma semplicemente su un modello di business che va a insidiarsi nelle inefficienze del sistema, appartamenti lasciati vuoti a lungo, macchine parcheggiate inattive per molte ore al giorno. Vediamo come va a finire ma intanto tiriamo un sospiro di sollievo. Gli unicorni non sono (al momento) quotati in Borsa, e se uno inciampa non si trascina dietro il listino, fa solo soffrire un po’ i miliardari della Silicon Valley che ci hanno scommesso.
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