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Silicon Valley

Evoluzione della specie: da startup a Unicorni

21 Settembre 2015 09:00
financialounge -  Silicon Valley start-up unicorni
Se Darwin si fosse occupato di economia e non di scienze naturali avrebbe trovato nella vita delle startup la conferma perfetta delle sue teorie sulla lotta per la sopravvivenza e l’evoluzione della specie. Si può partire da un garage per diventare un Unicorno da miliardi di dollari, come vengono in gergo definite le startup che raggiungono il massimo successo. Ma per uno che ci riesce in migliaia perdono la vita, economicamente parlando.

Il fenomeno è stato studiato in modo approfondito da una recentissima ricerca di Deloitte e THNK, che ha preso in esame ben 900.000 startup di tutto il mondo, nate a partire dal 2005. Il percorso per emergere e vincere è fatto di tre passaggi: primo non morire, e ci riesce solo una su due; secondo diventare una scale-up, e ci riesce una su 200 di quelle sopravvissute; terzo e ultimo, diventare un prezioso quanto raro Unicorno, e qui arrivano davvero in pochi, più o meno uno su 10.000. E, sorpresa, nascere in Silicon Valley piuttosto che a Beirut non fa la differenza.

Tutti sanno cosa sono le startup. Ma cosa vuol dire diventare una scale-up e poi un Unicorno? Il metro sono i dollari: raggiunge il secondo stadio chi riesce a fatturarne almeno 10 milioni l’anno, mentre per arrivare al terzo serve la cifra tonda di almeno un miliardo. Oltre a nascere con l’obiettivo di fare quattrini, startup, scale-up e Unicorni hanno un'altra caratteristica comune, di solito non sono (ancora) quotate in Borsa, ma crescono grazie agli investimenti privati, come il venture capital. Questo non impedisce ad alcuni Unicorni, come Uber, il nemico dei tassisti di tutto il mondo, oppure AirBnB, la nuova frontiera dell’industria globale dell’ospitalità a pagamento, di avere, ancora sulla carta, un valore pari a decine di volte quello di molte società quotate.

Deloitte e THNK elencano le qualità imprenditoriali che servono per diventare scale-up: la prima è la pazienza, oltre ovviamente alla leadership e un modello di business valido. La ricerca spazia in 24 paesi e su 790 sub settori industriali, e rivela che la metà delle nuove imprese fallisce prima del quinto anno di attività. Una startup è considerata un successo, nel senso di un non fallimento, se riesce a fare in media ricavi per 300 mila dollari l’anno dopo 5 anni. Non ci sono fattori di successo legati al luogo di nascita - Ginevra, Amsterdam, Shanghai, Beirut, o la mitica Silicon Valley fa lo stesso – e neppure legati al settore, sia esso il software o l’hardware, la sanità, l’energia i servizi finanziari o i beni di consumo. Su ogni 200 startup che sopravvivono al quinto anno una diventa una scale-up, mentre una su 10.000 di quelle che ci hanno provato diventa un Unicorno. Ci vuole pazienza e ancora pazienza, bisogna buttarsi quando il mercato è pronto, partire troppo presto porta al fallimento.

Altro fattore chiave, il business deve essere tale da poter crescere rapidamente, anche a livello internazionale, se ci sono le condizioni. I pochi, bravi e fortunati, che diventano Unicorni, cioè raggiungono il miliardo di ricavi: solo a quel punto cominciano veramente a correre. Infatti attirano capitali sempre più ingenti in cambio di quote azionarie sempre più piccole, e li spendono soprattutto in acquisizioni, dirette a eliminare sul nascere la concorrenza e ad ampliare il proprio portafoglio con nuovi prodotti, servizi e applicazioni. I 103 Unicorni studiati dalla ricerca hanno investito un ammontare complessivo di 404 miliardi di dollari, vale a dire in media circa 4 miliardi di dollari ciascuno.
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