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Perché lo spread è solo un indicatore relativo

12 Giugno 2015 12:57
financialounge -  BTP bund spread
Dall’estate del 2011 il termine spread è entrato a pieno titolo nel vocabolario delle famiglie italiane. Nel momento in cui i tassi di interesse dei titoli di stato italiani hanno allargato in modo amplificato la forbice rispetto a quelli degli omologhi governativi tedeschi ecco che i quotidiani, i periodici, i siti di informazione e i telegiornali hanno cominciato ad utilizzare il termine «spread» per segnalare la febbre dei mercati alla stregua di un termometro: tanto più lo «spread» saliva tanto più la crisi del debito sovrano italiano aumentava e viceversa.

Lo «spread» tuttavia resta un indicatore relativo nel senso che un suo valore più ristretto rispetto ad un altro registrato in precedenza non significa necessariamente che le cose vadano in assoluto meglio per i titoli di stato italiani.

Scopriamo insieme perché con un esempio pratico. Venerdì 17 aprile lo spread tra il titolo di stato italiano a 10 anni e il bund scadenza 2025 si era attestato a 141 punti base (+1,41%), frutto della differenza tra il tasso di interesse dell’1,48% del BTP 2025  e quello dello 0,7% del bund decennale. Mercoledì 10 giugno, invece, lo spread ha chiuso a 126 (+1,26%), come differenziale tra il 2,24% del tasso del BTP decennale e il tasso dello 0,98% del bund scadenza 2025.

Come si può facilmente constatare, se è vero che lo spread del 10 giugno era più basso (126) in termini relativi rispetto a quello del 17 aprile (141), è altrettanto vero che il tasso del BTP il 10 giugno è balzato al 2,24%, cioè lo 0,76% in più rispetto a quanto pagava un mese e mezzo fa.
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