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Adesso la politica europea non può più sbagliare

11 Marzo 2015 10:00
financialounge -  BCE Carlo Benetti Europa materie prime
Se l’Eurozona fosse andata in pezzi nel 2011, scrive l’Economist, l’epitaffio appropriato avrebbe potuto essere «La BCE ebbe paura dell’inflazione al 3%». Ma la banca centrale europea ha cambiato atteggiamento rispetto al recente passato e nel 2012 ha posto le premesse della ripartenza. La recessione del 2011 sembra alle spalle con stime di crescita di 1,5% nel 2015, 1,9% e 2,1% rispettivamente nel 2016 e 2017. Anche l’inflazione è attesa in crescita, non quest’anno, stimata ancora attorno allo zero, ma a 1,5% nel 2016 e 1,8% nel 2017.
“La banca centrale sta centrando i suoi obiettivi, ora tocca alla politica. Gli Stati Uniti sono riusciti a non ripetere l’errore del 1937, è ora che l’Europa acceleri il processo di convergenza economica e politica per non ripetere gli errori del 2011” sottolinea Carlo Benetti, Head of Market Research & Business Innovation di Swiss & Global, nel commento analitico l’Alpha e Beta del 9 marzo nel quale indaga su quali siano stati gli errori commessi dalle autorità monetarie e politiche europee dal 2008 in poi.
Negli Stati Uniti la recessione è durata diciotto mesi, dal dicembre 2007 al giugno 2009, in Europa poco meno, dal gennaio 2008 all’aprile 2009. Le stesse statistiche rivelano che solo l’Europa è ricaduta in una più profonda recessione nel terzo trimestre 2011, dalla quale stiamo uscendo solo ora. Anche al netto delle differenze tra i sistemi di governo e le diverse caratteristiche della Fed e della BCE, nell’Eurozona ci sono stati gravi ed evidenti errori.
“Nel 2011 l’irresolutezza dei leader politici nell’attivazione del Fondo salva-Stati, concepito per il sostegno ai Paesi più esposti e per restituire serenità ai mercati finanziari, ebbe in realtà l’effetto di avviare una spirale perversa di esitazioni e paure. L’intensità della stretta finanziaria alle pubbliche finanze amplificò la contrazione del PIL in tutta l’Eurozona. Nell’esacerbare gli effetti della crisi ha avuto un ruolo cruciale, distruttivo, anche la governance imperfetta dell’Unione e la debole rappresentanza democratica, quella che le scienze politiche anglosassoni chiamano «accountability», i modi con i quali le istituzioni pubbliche rispondono ai cittadini. Nonostante i poteri del Parlamento europeo siano stati accresciuti, resta ampio il divario tra i luoghi istituzionali delle decisioni e i cittadini” spiega Carlo Benetti per il quale anche la Banca Centrale Europea ci mise del suo.
Il riferimento è all’aumento dei prezzi delle materie prime che aveva fatto salire l’inflazione. Un fenomeno che la Banca di Inghilterra e la Federal Reserve valutarono come transitorio (alla luce di un’economia globale ancora fragile) al contrario del presidente della BCE, Trichet, che aumentò i tassi in aprile e in luglio nonostante la vulnerabilità dell’economia dell’Eurozona e la seria crisi del debito pubblico in corso proprio in quel periodo: subito dopo, come previsto pressoché da chiunque, i prezzi delle materie prime ritracciarono ed i prezzi alla produzione registrarono immediatamente il calo dell’inflazione. Ma nel frattempo l’attività economica dell’Eurozona si era nuovamente contratta e siamo alla storia d’oggi, con i timori dell’inflazione rimpiazzati da quelli, peggiori, della deflazione.
Per Carlo Benetti, le autorità europee fecero lo stesso errore compiuto negli Stati Uniti nel 1937. Dopo il picco negativo del 1932, quando il PIL crollò di oltre il 13%, l’economia americana sembrava aver imboccato il sentiero della ripresa, nel 1933 i morsi della crisi cominciavano ad attenuarsi e nel 1934 riprendeva con forza l’attività economica (+10,9% il PIL). Tassi di crescita così vigorosi indussero il presidente Roosevelt e la Federal Reserve a pensare che fosse arrivato il momento di ritirare gli stimoli fiscali e monetari. Roosevelt tra l’altro era condizionato dal Segretario al Tesoro Henry Morgenthau che premeva per riequilibrare il deficit di bilancio. Nel 1937 Roosevelt prese due decisioni cruciali: firmò il Marijuana Tax Act, che rendeva antieconomici il consumo e la coltivazione della cannabis e, decisamente più rilevante al nostro ragionamento, firmò tagli alla spesa federale per circa il 17% nel giro di due anni. Un drastico aumento delle tasse fece salire le entrate fiscali del 72% e in soprammercato la Federal Reserve aumentò i tassi di interesse, allarmata dai livelli di inflazione. Il deficit federale crollò dal 5,5% del 1936 allo 0,5% nel 1938 ma il successo contabile costò carissimo: il PIL reale crollò del 3,4% e la disoccupazione risalì al 12,5%.
“Il 2011 è stato il nostro 1937, l’ansia di riportare ordine nei conti pubblici ha indotto all’inasprimento delle misure di tagli alla spesa pubblica, ed è stata la catastrofe sociale ed economica. Pochi giorni fa l’ex Executive Director del Fondo Monetario Internazionale Paulo Batista ha ammesso con insolita franchezza come nel 2010 le incertezze pubbliche dei leader europei abbiano nascosto i timori privati sulle esposizioni delle banche nazionali verso il debito greco” constata Carlo Benetti per il quale ora, dopo che la BCE sembra aver imboccato la strada giusta, il testimone passa ai politici europei che non possono più sbagliare.
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