International Editor's Picks

International Editor's Picks - 09 febbraio 2015

9 Febbraio 2015 10:10

financialounge -  International Editor's Picks Mario Draghi quantitative easing tassi di interesse Wall Street
non sarà un politico, come ha tenuto più volte a precisare alla stampa tedesca che lo voleva candidato al Quirinale, ma la mossa con cui ha evitato di restare incastrato nelle ultime vicende della Grecia è degna di Machiavelli.
Parliamo ovviamente di Mario Draghi, a cui il FT di venerdì dà atto di maestria politica per aver evitato, con la decisione di chiudere parzialmente i rubinetti di Francoforte per le banche greche, di finire per essere il decisore finale dei destini di Atene. Una mossa solo apparentemente tecnica e molto politica. In questo modo infatti, scrive il giornale della City, Draghi si è sfilato dallo scomodo posto di chi deve decidere se salvare o no la Grecia, lasciandoci giustamente seduti i politici di Berlino e Bruxelles. Se non l’avesse fatta, avrebbe automaticamente messo il QE in arrivo a disposizione del salvataggio greco, attirandosi le critiche di tutto il Nord Europa.
Pericolo schivato e palla nel campo dei politici politicanti.

Non bisogna guardare come si muove lo “smart money” di Wall Street per cogliere segnali di un possibile e sostenuto trend rialzista dell’azionario. Almeno questo è quanto sostiene Talking Numbers, un sito specializzato che segnala un indicatore chiamato Daily Sentiment Index, che è sceso sotto 20, un livello che indica che l’“average Joe”, l’investitore qualunque, è diventato molto negativo sui mercati. Secondo un analista tecnico interpellato da Talking Numbers il dato è estremamente bullish, paradossalmente.
“L’ultima volta che “l’investitore della strada” era così pessimista è stato a metà ottobre”, spiega John Kosar di Asbury Research, “proprio nel momento in cui il mercato aveva toccato il fondo e bisognava comprare.” Dal 16 ottobre, ricorda Talking Numbers, l’S&P 500 e il Nasdaq 100 hanno guadagnato rispettivamente l’11 e il 12 per cento. Non basta, dal 2010, ogni volta che il DSI è andato sotto 20 il mercato è partito al rialzo.

Analisti e trader sono volubili, basta un numerino e cambiano idea. Fino alle 14:30 di venerdì 6 febbraio la stragrande maggioranza scommetteva che la Fed avrebbe aspettato almeno fino a ottobre per alzare i tassi. Poi esce il numero magico: i nuovi posti di lavoro creati in Usa nell’ultimo trimestre sono ai massimi dal 1997. E da un secondo all’altro, riporta la Reuters, traders e analisti cambiano idea e vedono una possibilità del 62% che li alzi a settembre e un 47% di chance che lo faccia a giugno.
I dati sono basati sul CME FedWatch, che traccia le attese di rialzo dei tassi da parte dei trader implicite nei contratti futures sui Fed fund.

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