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Europa, cosa insegna l’esperienza giapponese

23 Gennaio 2015 14:00
financialounge -  Europa giappone
Un’economia stagnante con un andamento disinflattivo dei prezzi. Il quadro attuale dell’Europa pur non corrispondendo esattamente all’esperienza del Giappone tra il 1990 e il 2010 presenta molte analogie.

“Da quando, nell’estate 2014, la crescita economica e l’inflazione in Europa hanno cominciato a evidenziare una sempre più pronunciata tendenza al ribasso, in più casi ha gradualmente iniziato a emergere il dubbio che il Vecchio Continente stia attraversando un uno scenario come quello giapponese: è vero che il contesto che di norma viene delineato a tale riguardo, un’economia stagnante con un andamento deflazionistico dei prezzi, non corrisponde all’esperienza del Giappone tra il 1990 e il 2010, ciononostante, non si può contestare che vi sia una certa analogia con l’attuale dinamica in Europa” commenta Yves Longchamp, Head of Macroeconomic Research di ETHENEA Independent Investors (Schweiz) AG.

In quegli anni, il Giappone ha registrato una crescita reale pari in media all’1% annuo. Il livello dei prezzi non è sceso, ma è invece aumentato fino al 1997, tornando poi a diminuire. Nel 2010, nel punto di minimo di questa dinamica, i prezzi al consumo avevano nuovamente raggiunto il livello del 1993. Tuttavia, il Giappone era tutt’altro che in crisi: il PIL pro capite è cresciuto allo stesso ritmo dell’economia nel suo complesso, mentre la disoccupazione è rimasta invariata. La crescita debole dell’economia giapponese nei due decenni successivi al 1990 è direttamente ascrivibile a un’inefficace gestione della crisi. Negli anni Ottanta l’economia nipponica ha registrato un boom tradottosi in una colossale bolla del settore immobiliare e del mercato azionario. All’apice di questa bolla, il terreno sul quale sorge il palazzo imperiale di Tokyo valeva quanto l’intera California. Due terzi del patrimonio immobiliare mondiale erano concentrati nel centro della capitale giapponese. Lo scoppio della bolla nel gennaio 1990 ha segnato l’inizio del cosiddetto decennio perduto. Le risposte della politica monetaria, economica e fiscale a questa bolla si sono rivelate troppo tardive o inefficaci.

“In Europa il superamento delle difficoltà durante la crisi finanziaria del 2008 è stato molto più rapido e mirato. La crescita debole che attualmente preoccupa l’unione monetaria non è più riconducibile alla bolla finanziaria del 2008, ma deriva dalla crisi dell’euro che ne è seguita. Il problema non è l’inefficienza degli investimenti statali, bensì la loro inesistenza. Inoltre, l’erogazione di nuovi crediti non è ostacolata da bilanci bancari carichi di prestiti in sofferenza, ma dall’assenza di domanda di credito” fa presente Yves Longchamp che poi ricorda come, anche sul fronte dell’andamento dei prezzi, siano intervenuti fattori diversi.

“Mentre in Europa la debolezza dei prezzi viene attribuita al calo e alla parziale implosione dei corsi delle materie prime, in Giappone tra il 1997 e il 2002 la deflazione è stata causata da una deflazione dei salari. La scarsa flessibilità orizzontale del mercato del lavoro ha fatto sì che gli impieghi a tempo pieno venissero gradualmente sostituiti da incarichi part time peggio retribuiti. Dal momento che in Giappone un impiego comporta implicitamente un vincolo a vita con il proprio datore di lavoro, i giapponesi sono disposti ad accettare tagli dei salari reali e nominali pur di non essere licenziati” spiega Yves Longchamp.

In Europa e negli Stati Uniti, al contrario, nei periodi di crisi le imprese adeguano i propri costi del personale attraverso i licenziamenti anziché mediante riduzioni salariali. Di conseguenza, in questi paesi i tassi di disoccupazione sono più elevati, ma i tagli dei salari nominali finora appaiono inconsueti.

“Sebbene il mercato del lavoro europeo non sia dominato dalle dinamiche che caratterizzano quello giapponese, la scarsa flessibilità, benché su fronti diversi, può creare un margine per eventuali riduzioni salariali: come sottolineato da Mario Draghi nella conferenza stampa del 4 dicembre 2014, è importante valutare il potenziale impatto esercitato dall’andamento deflazionistico dei prezzi delle materie prime sulla formazione dei salari” conclude Yves Longchamp.
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