BCE
Il costo del debito italiano non sarà basso per sempre
28 Novembre 2014 09:30

edi 19 novembre, Maria Cannata, direttore generale del Dipartimento del debito pubblico del Tesoro ha stimato che entro fine anno saranno stati collocati nell’intero 2014 titoli del debito italiano per 450 miliardi di euro ad un costo medio dell’1,38%: si tratta all’incirca di un risparmio di tre miliardi all’anno per i prossimi sei anni per le spese per interessi.
Un aspetto positivo per i conti pubblici che, tuttavia, rischia di non essere soppesato nel dovuto conto. Da quando lo spread, cioè il differenziale di rendimento tra i tassi di interesse dei titoli di stato italiani e quelli tedeschi di pari durata, è entrato nel vocabolario corrente delle famiglie italiane (e cioè dall’estate del 2011) si è infatti perso un po’ di vista il valore assoluto dei tassi di rendimento. Focalizzando l’attenzione sul differenziale, che ieri ha chiuso 137 punti base, si rischia di tralasciare l’importanza di quanto ridotte siano le cedole riconosciute agli investitori.
Il BTP a 10 anni, per esempio, rende attualmente il 2,08%, cioè meno di quanto paghi il Treasury USA di uguale durata (2,24%) Non solo. Il tasso di rendimento del buono poliennale decennale italiano corrente è al di sotto di quello dell’OAT francese decennale a inizio anno (2,43%), quasi allineato al governativo austriaco scadenza 2024 al primo gennaio scorso (2,26%) e non molto distante dal bund decennale tedesco a inizio 2014 (1,94%).
Una tendenza, quella del calo del costo del debito pubblico che potrebbe proseguire nei prossimi mesi: sono infatti in molti a ritenere che il previsto nuovo allentamento da parte della BCE dovrebbe favorire la compressione degli spread dei tassi dei paesi periferici rispetto alla Germania.
“La discesa dei rendimenti sui titoli di stato italiani ha consentito al nostro Paese di ottenere favorevoli condizioni di finanziamento sui mercati finanziari. Il probabile rialzo dei tassi di politica monetaria negli Stati Uniti ed il conseguente aumento dei rendimenti sui titoli di stato americani dovrebbe trasferirsi solo in parte sui rendimenti dei titoli governativi di Eurozona. Lo scenario di crescita economica e di inflazione, infatti, è diverso tra le due aree economiche: nell’Area Euro la crescita economica è debole e l’inflazione permane a livelli prossimi allo zero, a differenza di quanto accade negli Stati Uniti; è molto probabile quindi che la BCE deciderà di realizzare un programma di «quantitative easing», che manterrà basso il livello dei rendimenti a breve scadenza dei titoli italiani e che produrrà un’ulteriore discesa dei rendimenti a lunga scadenza, di cui beneficeranno i conti pubblici” commenta Carlo Majolo, Portfolio Manager di Vontobel Asset Management.
Occorre tuttavia fare molta attenzione perché questo contesto molto favorevole al debito italiano potrebbe cambiare rapidamente in peggio qualora la sostenibilità dei conti pubblici italiani fosse messa in discussione. Senza arrivare ai punti estremi toccati nell’estate-autunno del 2011, quando i rendimenti dei BOT e dei BTP schizzarono oltre la soglia del 7%, basterebbe ritornare alle medie degli ultimi 10 anni per subire impatti significativi nel bilancio statale con inevitabili ripercussioni su nuove tasse e ulteriori tagli allo stato sociale.
Un aspetto positivo per i conti pubblici che, tuttavia, rischia di non essere soppesato nel dovuto conto. Da quando lo spread, cioè il differenziale di rendimento tra i tassi di interesse dei titoli di stato italiani e quelli tedeschi di pari durata, è entrato nel vocabolario corrente delle famiglie italiane (e cioè dall’estate del 2011) si è infatti perso un po’ di vista il valore assoluto dei tassi di rendimento. Focalizzando l’attenzione sul differenziale, che ieri ha chiuso 137 punti base, si rischia di tralasciare l’importanza di quanto ridotte siano le cedole riconosciute agli investitori.
Il BTP a 10 anni, per esempio, rende attualmente il 2,08%, cioè meno di quanto paghi il Treasury USA di uguale durata (2,24%) Non solo. Il tasso di rendimento del buono poliennale decennale italiano corrente è al di sotto di quello dell’OAT francese decennale a inizio anno (2,43%), quasi allineato al governativo austriaco scadenza 2024 al primo gennaio scorso (2,26%) e non molto distante dal bund decennale tedesco a inizio 2014 (1,94%).
Una tendenza, quella del calo del costo del debito pubblico che potrebbe proseguire nei prossimi mesi: sono infatti in molti a ritenere che il previsto nuovo allentamento da parte della BCE dovrebbe favorire la compressione degli spread dei tassi dei paesi periferici rispetto alla Germania.
“La discesa dei rendimenti sui titoli di stato italiani ha consentito al nostro Paese di ottenere favorevoli condizioni di finanziamento sui mercati finanziari. Il probabile rialzo dei tassi di politica monetaria negli Stati Uniti ed il conseguente aumento dei rendimenti sui titoli di stato americani dovrebbe trasferirsi solo in parte sui rendimenti dei titoli governativi di Eurozona. Lo scenario di crescita economica e di inflazione, infatti, è diverso tra le due aree economiche: nell’Area Euro la crescita economica è debole e l’inflazione permane a livelli prossimi allo zero, a differenza di quanto accade negli Stati Uniti; è molto probabile quindi che la BCE deciderà di realizzare un programma di «quantitative easing», che manterrà basso il livello dei rendimenti a breve scadenza dei titoli italiani e che produrrà un’ulteriore discesa dei rendimenti a lunga scadenza, di cui beneficeranno i conti pubblici” commenta Carlo Majolo, Portfolio Manager di Vontobel Asset Management.
Occorre tuttavia fare molta attenzione perché questo contesto molto favorevole al debito italiano potrebbe cambiare rapidamente in peggio qualora la sostenibilità dei conti pubblici italiani fosse messa in discussione. Senza arrivare ai punti estremi toccati nell’estate-autunno del 2011, quando i rendimenti dei BOT e dei BTP schizzarono oltre la soglia del 7%, basterebbe ritornare alle medie degli ultimi 10 anni per subire impatti significativi nel bilancio statale con inevitabili ripercussioni su nuove tasse e ulteriori tagli allo stato sociale.
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