BTP
Ma i tassi dei BTP a 10 anni raddoppieranno entro il 2018
25 Novembre 2014 09:45

l tasso dei BTP a 10 anni ha fissato un nuovo minimo storico a quota 2,16%: a inizio anno si attestava al 4,09%. Questo eccezionale restringimento dello spread rispetto al bund tedesco si è concretizzato per una serie di fattori, alcuni dei quali esterni (il generale calo dei tassi del reddito fisso della zona euro, il processo di disinflazione, il credit easing della BCE, i flussi di acquisti stranieri verso l’Europa, e negli ultimi giorni il sempre più probabile QE sui titoli di stato da parte dell’Eurotower) e altri interni (stabilità politica, avvio delle riforme strutturali, rispetto dei principali impegni con Bruxelles in tema di controllo del deficit pubblico).
Un trend virtuoso che ha consentito di collocare circa 450 miliardi di titoli del debito pubblico italiano nel corso di quest’anno con un tasso di interesse medio inferiore all’1,4%. La risultante di tutto questo si traduce in un importante vantaggio per le casse statali italiane (per minori oneri su interessi da pagare ogni anno) e un significativo impatto sulle abitudini dei risparmiatori del nostro paese verso i titoli di stato: sebbene non ci sia stata, almeno finora, una vera e propria disaffezione nei riguardi di Bot, CCT e BTP è indubbio che le famiglie italiane abbiano guardato con crescente interesse verso altri strumenti finanziari (fondi comuni e comparti di Sicav in primis).
Uno scenario che però potrebbe cambiare nei prossimi quattro anni.
Secondo un recente studio di Goldman Sachs, il tasso di interesse dei bund tedeschi a 10 anni dovrebbe salire all’1,25% nel 2015, quindi all’1,75% l’anno successivo, per passare poi al 2,50% nel 2017 e al 3,0% nel 2018. Ora, ipotizzando uno spread tra BTP e bund di 100 punti base (ieri ha fissato un minimo dal 2011 a 140 punti base), i buoni poliennali del tesoro decennali tornerebbero a offrire un rendimento superiore ai quattro punti percentuali (che, peraltro, rappresenta la media degli ultimi 15 anni) nel 2018.
Se la progressione del rialzo dei tassi prevista per i bund tedeschi fosse la stessa anche per i titoli di stato italiani, entro il 2018 ci sarebbero 6,1 miliardi in più all’anno da coprire nella legge di stabilità: un "buco" che salirebbe a 9,2 miliardi nel caso in cui lo spread con i bund si attestasse in media a 150 punti base (1,50%) ovvero 12,3 miliardi nel caso in cui il differenziale medio fosse di 200 punti base (2,0%). Elementi sui quali, chiunque sarà chiamato a governare questo paese, dovrà fare i conti per tempo per scongiurare di ritrovarsi (e farci ritrovare, in qualità di contribuenti) in una nuova crisi come nel 2011.
Un trend virtuoso che ha consentito di collocare circa 450 miliardi di titoli del debito pubblico italiano nel corso di quest’anno con un tasso di interesse medio inferiore all’1,4%. La risultante di tutto questo si traduce in un importante vantaggio per le casse statali italiane (per minori oneri su interessi da pagare ogni anno) e un significativo impatto sulle abitudini dei risparmiatori del nostro paese verso i titoli di stato: sebbene non ci sia stata, almeno finora, una vera e propria disaffezione nei riguardi di Bot, CCT e BTP è indubbio che le famiglie italiane abbiano guardato con crescente interesse verso altri strumenti finanziari (fondi comuni e comparti di Sicav in primis).
Uno scenario che però potrebbe cambiare nei prossimi quattro anni.
Secondo un recente studio di Goldman Sachs, il tasso di interesse dei bund tedeschi a 10 anni dovrebbe salire all’1,25% nel 2015, quindi all’1,75% l’anno successivo, per passare poi al 2,50% nel 2017 e al 3,0% nel 2018. Ora, ipotizzando uno spread tra BTP e bund di 100 punti base (ieri ha fissato un minimo dal 2011 a 140 punti base), i buoni poliennali del tesoro decennali tornerebbero a offrire un rendimento superiore ai quattro punti percentuali (che, peraltro, rappresenta la media degli ultimi 15 anni) nel 2018.
Se la progressione del rialzo dei tassi prevista per i bund tedeschi fosse la stessa anche per i titoli di stato italiani, entro il 2018 ci sarebbero 6,1 miliardi in più all’anno da coprire nella legge di stabilità: un "buco" che salirebbe a 9,2 miliardi nel caso in cui lo spread con i bund si attestasse in media a 150 punti base (1,50%) ovvero 12,3 miliardi nel caso in cui il differenziale medio fosse di 200 punti base (2,0%). Elementi sui quali, chiunque sarà chiamato a governare questo paese, dovrà fare i conti per tempo per scongiurare di ritrovarsi (e farci ritrovare, in qualità di contribuenti) in una nuova crisi come nel 2011.
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