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Sono le banche centrali a dettare i tempi ai mercati

2 Settembre 2014 14:35
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L’articolo “I banchieri taumaturghi” di Carlo Benetti di Swiss & Global Asset Management nel commento analitico.
L’Alpha e Beta dell’1 settembre 2014 evidenzia un aspetto di rilievo dell’attuale contesto finanziario: se gli utili societari forniscono il carburante alla spinta positiva del mercato, il motore resta ancora quello dell’indiscussa fiducia nelle capacità taumaturgiche dei signori della moneta, ovvero delle Banche Centrali.
Per questa ragione, a fronte di una Fed che sta per mettere fine al programma straordinario di acquisti di titoli obbligazionari e di una BCE in procinto di adottare un personale QE (quantitative easing), il convegno estivo a Jackson Hole quest’anno è stato particolarmente seguito.

Organizzato per la prima volta nel 1978 dalla Federal Reserve di Kansas City a Jackson Hole nel Wyoming, il simposio dedicato all’economia e alla politica internazionale è diventato un appuntamento tradizionale di banchieri centrali, economisti ed analisti politici. La particolarità che distingue l’incontro di fine estate ai piedi del massiccio del Teton Range è la qualità degli interventi e la franchezza del linguaggio: la presenza dei giornalisti è strettamente regolamentata ed anche a loro è richiesto il pagamento della quota di partecipazione.

Quest’anno, inoltre, è stata anche la prima volta sia per Janet Yellen, nominata presidente della Fed nello scorso ottobre, e sia per Mario Draghi, negli anni scorsi trattenuto a Francoforte dalle tensioni sui mercati europei.
Era inevitabile che con il lavoro come tema centrale del simposio, gli interventi più attesi fossero proprio quelli di apertura di Yellen e di Draghi, massime autorità monetarie di due economie con dinamiche dell’occupazione così divergenti. Ed è probabile che proprio i numeri sui nuovi posti di lavoro, il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti è circa la metà di quello europeo, siano all’origine di sempre più marcate differenze nei tassi di riferimento.
Se l’intervento di Janet Yellen non ha offerto particolari novità né indizi utili ad affinare il vaticinio sul momento dell’inversione dei tassi, è stato Mario Draghi ad offrire qualcosa di più, tanto da far sollevare qualche sopracciglio a Berlino.

Nell’Eurozona il tasso di disoccupazione è ancora intollerabilmente troppo elevato, Draghi lo mette in relazione con tasso di disoccupazione naturale (NAIRU nel gergo economichese, Non-Accelerating Inflation Rate of Unemployment) il cui valore di poco oltre il 10% è secondo Draghi stimato in eccesso, in altre parole significa che nell’Eurozona è disponibile ulteriore capacità produttiva.
L’economia europea è in affanno: a sette anni dalla deflagrazione della crisi, il PIL complessivo dell’Unione è ancora inferiore ai livelli del 2007 e i dati più recenti mostrano in rallentamento anche l’economia tedesca.

Draghi ha riconosciuto che la diminuzione del tasso di inflazione, a luglio scivolato a 0,4%, non è dovuto solamente a fattori straordinari come la crisi in Ucraina o i prezzi di alimentari ed energia e si è dichiarato “pronto ad ulteriori aggiustamenti” della politica monetaria. Le parole concilianti di Draghi hanno spinto ulteriormente al ribasso i rendimenti obbligazionari governativi e favorito il recupero delle borse, nel convincimento che la staffetta ci sarà: la BCE prenderà dalla Fed il testimone del “Quantitative Easing” rendendo così meno dolorosa, o addirittura indolore, l’inversione dei tassi negli Stati Uniti che, comunque, non accadrà in settembre.
Inoltre, le argomentazioni di Draghi e la conclamata debolezza dell’economia dell’Eurozona hanno favorito l’indebolimento dell’euro.

L’ultima parte dell’anno sembra dunque proseguire sotto il segno degli utili aziendali e dell’iniziativa taumaturgica dei banchieri centrali. È il caso di attendere con fiducia il tocco taumaturgico della Banca Centrale Europea e di confermare pure la prevalenza delle azioni sulle obbligazioni, senza però perdere di vista la fragilità dello scenario dell’economia reale.
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