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International Editor's Picks - 17 febbraio 2014

17 Febbraio 2014 09:20
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La Fed di Janet Yellen ha un problema. Si chiama neve. Lo scrive il corrispondente da Washington del giornale della City. Secondo il Financial Times infatti il maltempo che ha imperversato a gennaio potrebbe essere la causa dei dati deboli sull’economia, e magari nascondere sotto la coltre di neve una ripresa più forte di quanto sembri, pronta a esplodere in primavera. E per Janet diventa più difficile capire se deve rallentare o accelerare il tapering degli acquisti di asset da parte della Banca Centrale. Già stare nel posto di guida della politica monetaria americana non era un compito facile, visto che la strada da percorrere è accidentata e serve un gioco abile di freno e acceleratore. Se ci si mette pure la neve diventa un esercizio da rallysta. Buon “bumpy ride”, Janet!

Il 2013 non è stato un grande anno per i mercati emergenti. Ma ha anche segnato la rivincita dei fondi gestiti su quelli passivi, gli ETF. Lo sostiene il WSJ in un’analisi pubblicata il 15 febbraio. Lo scorso anno gli ETF investiti in emergenti hanno ceduto quasi l’11% mentre i fondi tradizionali hanno contenuto la perdita al 7,5%. Secondo il giornale di Wall Street il problema degli ETF sta nel fatto che di solito i mercati emergenti sono meno efficienti di quelli sviluppati e i titoli più liquidi sono anche i più volatili. Insomma, nel caso degli emergenti una gestione attiva consente di cogliere occasioni che sfuggono ai radar degli ETF, per i quali invece il fatto di essere molto liquidi, di solito un vantaggio, può trasformarsi in una trappola. Il Journal sostiene che più la gestione è attiva, meglio performa l’investimento, sempre nel caso degli emergenti. In America Latina gli hedge fund specializzati hanno portato a casa l’anno scorso un ritorno dell’1,83% contro una caduta di oltre il 15% dell’indice MSCI Latin America.

Sono ormai 20 gli stati americani che hanno legalizzato la produzione e la vendita di marijuana a fini medici, mentre in Colorado e Washington la legalizzazione si estende all’uso ricreazionale. Un’industria nascente in rapida crescita che ovviamente ha bisogno di finanza. Ma finora si è dovuta arrangiare con il contante, perché le banche non potevano finanziarla a causa della legislazione anti-riciclaggio e anti-terrorismo. Ora non più, informano Washington Post e New York Times. Autorità e Tesoro USA hanno emesso linee guida ad hoc per spiegare a quali condizioni le banche potranno fare prestiti, accettare soldi e fornire altri servizi finanziari a produttori e distributori di “erba”. Gli interessati dicono che non basta e che serve una legge federale. Comunque il meccanismo è in moto, il business c’è e dove c’è business c’è finanza: a quando l’emissione delle prime marijuana-backed securities?

L’India ha un problema di reputazione internazionale. E non parliamo del caso dei Marò italiani. Il problema è con gli investitori. Il caso è esploso sulla prima pagina del Financial Times dopo che Vodafone e Nokia sono rimaste incastrate in trappole legali da miliardi di dollari nel grande paese asiatico. Il governo di Delhi vuol stracciare un accordo quasi fatto con il colosso telefonico britannico per risolvere una contestazione fiscale da 2,6 miliardi di dollari che risale al 2007. Nokia, invece, si è vista negare il trasferimento delle attività indiane a Microsoft, un’operazione che faceva parte della vendita di 5,4 miliardi di dollari di asset alla casa di Seattle, e sta affrontando un difficile ricorso in appello. L’uno-due, che risale al 12 febbraio, non farà che aumentare le preoccupazioni sul trattamento che riserva l’India ai grandi gruppi stranieri in vista delle elezioni generali di maggio, secondo il giornale della City. La speranza degli investitori è una vittoria di Narendra Modi, oggi leader dell’opposizione, che possa finalmente rimettere in carreggiata l’economia e far tornare la fiducia.

San Valentino è passato. Chi si è potuto permettere di regalare un diamante? Ai fortunati può servire una raccomandazione di Market Watch. Attenzione, non contano solo i carati, il diamante non deve essere sporco di sangue! Insomma anche per il regalo più ambito vale la regola dell’eticamente corretto. E le grandi case si adeguano. Il World Diamond Council ha adottato il Kimberley Process, una certificazione creata per eliminare dal mercato i “diamanti della guerra”, vale a dire le gemme vendute per finanziare conflitti. E i grandi nomi dei diamanti come Brilliant Earth e Kay Jewelers hanno cominciato ad aggiungere la caratura etica ai loro certificati. Con qualche preoccupazione da parte dei paesi produttori. Perfino Nelson Mandela avvertiva di non esagerare: l’industria dei diamanti è vitale per il Sud Africa e per l’intero continente da cui proviene il 65% dei diamanti del mondo.
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