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BIITS

Il contagio insensato crea opportunità d’investimento

9 Ottobre 2013 21:00
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Il mese scorso, dopo la fuga dei capitali esteri dai mercati emergenti e il conseguente tracollo delle relative valute, è stato coniato un nuovo acronimo per cogliere il trend: BIITS, ovvero Brasile, India, Indonesia, Turchia e Sudafrica. I “fragili cinque”, sono stati individuati come i paesi emergenti più vulnerabili alla crisi.

Benchè si sia trattato di una caricatura, una di quelle che spesso accompagnano le fasi di volatilità, è comunque istruttivo esaminare quest’ultimo episodio di panico sui mercati (le valute dei paesi in via di sviluppo sono arrivate a perdere fino all’8,5% in media e il 25% nel caso dell’India, ndr) per trarne le debite conclusioni. Infatti una realistica ridefinizione delle stime di crescita non implica una crisi dell’intera area emergente, mentre il contagio insensato dei mercati finanziari (esteso cioè quasi indistintamente a tutti gli emerging markets) può far emergere interessanti opportunità d’investimento in quei paesi ingiustamente penalizzati, e cioè alcuni mercati dell’Est europeo, dell’America Latina e del Sudest asiatico.

Vediamo ora di spiegare le ragioni di questa nostra visione.
Da tempo andiamo sostenendo che il rallentamento della Cina – con i suoi trend di espansione, invecchiamento demografico e aumento del debito – e la fine delle politiche monetarie accomodanti possono far decelerare bruscamente le economie emergenti rispetto ai picchi di crescita dell’ultimo decennio.

L’espansione del credito, un fenomeno abbastanza diffuso nei mercati emergenti per sostenere i ritmi di crescita in questi ultimi anni, ha assunto dimensioni drammatiche in Cina, dove il rallentamento è destinato ad avere effetti a catena sulle nazioni esportatrici di materie prime che hanno fortemente beneficiato del boom cinese, in particolare Brasile e Russia.

Un altro capitolo spinoso è quello relativo alle partite correnti: molti investitori hanno cominciato a ritirarsi dai paesi interessati da disavanzi delle partite correnti elevati e crescenti – che dovendo essere finanziati mediante indebitamento estero, vedrebbero peggiorare la propria situazione visto l’aumento dei tassi d’interesse. È questa, peraltro, la caratteristica comune dei BIITS, nazioni con deficit delle partite correnti relativamente alti.

Tuttavia, i disavanzi della bilancia commerciale sono sicuramente importanti, ma non esiste un unico parametro in grado di definire le prospettive di una nazione e ancora meno di un aggregato di diversi paesi: come spiegare quindi la fuga dalle Filippine al Messico e alla Polonia, quando tutti e tre i paesi sono destinati a registrare tassi di crescita relativamente migliori in questo decennio? Nessuno di questi paesi ha pompato in maniera eccessiva i crediti né si è indebitato pesantemente all’estero per finanziare l’aumento del deficit corrente. Il Messico ha un nuovo presidente impegnato a promuove una riforma radicale dei monopoli che hanno strangolato la crescita. Le Filippine vantano il maggior tasso di espansione economica al mondo. La Polonia gode di buone condizioni finanziarie ed è ben posizionata in vista dell’uscita dell’Europa dalla recessione.

Lo scenario che a nostro avviso si sta configurando per le economie emergenti nel loro insieme, comporta un rientro dei ritmi di crescita sulle medie storiche che però non deve essere confuso con un ritorno alle condizioni di crisi che hanno raso al suolo gli emerging markets nel 1998, un paragone che infatti non può reggere a nessuna analisi.
Ciò che sappiamo per certo è che uno dei motivi scatenanti di quella crisi – il fatto che le divise fossero da tempo ancorate al dollaro – oggi non esiste più. Sappiamo anche che prima di tale periodo, le nazioni emergenti si trovavano in condizioni ben peggiori in termini di ritmo di crescita del rapporto credito/PIL o di deficit delle partite correnti. E la crisi che ne è conseguita è stata molto più profonda.

In conclusione prevediamo che il tasso di crescita medio annuo per i prossimi anni possa scendere intorno al 6% in Cina e al 4% nel mondo emergente. Come dire, insomma, che tutto questo comporta una ridefinizione delle aspettative di crescita ma non implica una crisi dell’intera area emergente che permetterà di cogliere, in modo selettivo, le diverse opportunità.
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