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L’incoronazione di Re Carlo III per dimenticare la Brexit

Moltissimi inglesi si sono pentiti dell’uscita dalla Ue, e il momento critico dell’economia del Regno Unito rincara tutto il loro malcontento. Come cambia lo scenario con il nuovo monarca appena incoronato?

di Lorenzo Cleopazzo 7 Maggio 2023 10:00
financialounge -  Brexit economia Incoronazione Re Carlo Regno Unito sunday view

Alle volte basta una parola.

Una sola, semplice parola, un’unione di lettere e di suoni capace da sola di cambiare radicalmente il senso di una frase. Facciamoci caso, perché nel Regno Unito se ne sono accorti da un pezzo. Tipo quando sono passati dall’essere parte dell’Unione europea al non essere parte dell’Unione europea, oppure quando hanno dovuto cambiare il loro inno nazionale, e non si trattava semplicemente di sostituire “queen” con “king”.

Nel primo caso, quel “non” ha distanziato Londra da Bruxelles ben più dei 318 chilometri in linea d’aria che dividono le due città. Non solo, ha anche creato una crepa nel sistema economico inglese che ha portato moltissimi cittadini a pentirsi del loro sì alla Brexit – il fenomeno del ‘Bregret’ di cui abbiamo parlato qualche numero addietro.

D’altra parte, però, cantare che Dio salvi il Re, oggi, assume tutto un altro significato. Non è solo una questione di cambiare una parola, ma di tutto ciò che questa porta con sé. Perché in un momento complicato per l’economia e la società inglese, in un periodo in cui i personaggi più noti spostano attenzioni e investimenti con le loro scelte, l’incoronazione di Carlo III potrebbe davvero rappresentare una boccata d’ossigeno per il Regno Unito e non solo.

OPERATION: GOLDEN ORB


Questo è il nome dato all’enorme mole di lavoro per preparare l’incoronazione di Re Carlo. Un evento che costerà alle casse pubbliche tra i 100 e i 120 milioni di sterline, più del doppio di quanto speso nel 1953 per Elisabetta II. E se pensate che si tratti di tanti soldi, dovrete ricredervi: eventi come il Giubileo di Platino o il Royal Wedding hanno fatto incassare alle reali tasche britanniche tra i 2 e i 6 miliardi.

Ma questo è solo uno dei risvolti dell’incoronazione di Charles III. Dopo l’ufficializzazione della Brexit la situazione economica del Regno Unito si è aggravata, anche per via di un contesto geopolitico complesso. Certo è che il distaccamento dall’Europa ha tolto ogni supporto a Londra, che si è vista un Pil ridimensionato, import ed export limitati e un’inflazione che a marzo galoppava sul 10,1%. La Bank of England però si è già attivata in merito, aumentando i tassi e portando il costo del denaro al 4,25%. Questa mossa ha visto un leggero rialzo nelle stime del Fondo Monetario Internazionale, che se a gennaio prevedeva una contrazione del Pil inglese dello 0,6% nel 2023, ora ha aggiornato a un più modesto 0,3%.

L’inflazione non è ancora rientrata e gli outlook sono già – lievemente – migliorati. Cosa succederà ora dopo l’incoronazione di un nuovo re?

BANK STATION


Non è solo una delle fermate principale della metropolitana di Londra, punto di snodo di 5 linee dell’Underground. Bank Station è la fermata della Banca d’Inghilterra, e la storia di quest’istituzione ha molto a che vedere con il periodo economicamente complicato che si sta vivendo oggi nella City.

Siamo negli ultimi anni del 1600 e l’Impero britannico era in guerra – neanche a dirlo – con la Francia. Le sorti del conflitto volgevano a favore di Parigi, e Londra doveva allestire in fretta una flotta navale all’altezza. Solo che le casse erano vuote, così come le tasche della corona. Fu così che un certo William Paterson – scozzese, vale la pena sottolinearlo – presentò il progetto di un istituto bancario che prendesse in carico il bilancio dello stato e del debito pubblico, emettendo titoli e stampando cartamoneta per coprire la somma necessaria all’esercito di Sua Maestà.

Bisogna pur ammettere che l’Inghilterra, la guerra contro la Francia, non la vinse. Piuttosto finì in un “pareggio”. Ma chissà, forse è proprio grazie alla fondazione dell’allora nuova Banca d’Inghilterra che non si tramutò in una debacle per gli inglesi.
Certo attualmente sarebbe difficile pensare a un nuovo intervento che risollevi come per magia l’economia britannica, anche perché la sterlina, volente o nolente, fa parte di un sistema economico globale dove gli equilibri non possono essere alterati. Però è anche vero che l’aiuto potrebbe arrivare da qualcuno il cui ruolo ha un peso non indifferente, qualcuno che sta scaldando i cuori di moltissimi inglesi. Qualcuno che da qualche ora ha i capelli pressati da un copricapo molto particolare.

THE BIG HELP OUT


Tecnicamente questo dovrebbe essere il nome del grande movimento di volontari sparsi per tutto il Regno Unito che lunedì 8 maggio – giorno di festa nazionale per l’incoronazione – si metterà a disposizione con diverse attività a favore delle comunità locali. Ecco, durante questo giorno di ‘Bank Holiday’, proprio le banks sperano che il big help out arrivi anche per l’economia di Sua Maestà.

Negli anni la corona inglese ha dimostrato di saper gestire molte crisi - interne e non -, mentre Carlo III, fin da prima della sua incoronazione, ha dimostrato una flessibilità al passo coi tempi, abbracciando scelte ambientaliste e rinunciando a simboli che richiamassero l’epoca coloniale britannica.

Che sia una questione di tempo? Che sia una questione di persone? Intanto a Buckingham Palace c’è un inquilino differente rispetto a quando la Brexit ha preso forma e anche tra le strade sembra stia cambiando qualcosa. C’è una generale atmosfera di positività, e forse è solo un po’ di “febbre da incoronazione”, forse è solo voglia di scrollarsi di dosso quella generale negatività che sembrava serpeggiare nelle tasche degli inglesi. O probabilmente è davvero arrivato il momento in cui gli inglesi e la loro economia potranno ricominciare a tirare dei bei sospironi.

E tra “forse” e “probabilmente” la differenza si scoprirà solo vivendo.

BONUS TRACK


A proposito di parole differenti: vista la situazione forse è meglio cambiare ancora un pochino l’inno britannico. Ormai non basta più cantare “God save the King”, ma forse è meglio aggiungere “God save the King’s economy”, e perché no aggiungere anche un proverbiale cerino, che male non fa.
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