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Attese & Mercati – Settimana dall'8 giugno 2020

Dopo la Bce è la volta della Fed, Powell dovrà misurare le parole delle previsioni economiche. Il tormentone del dollaro debole è infondato, è solo un effetto collaterale del rimbalzo del petrolio. La Guerra dei Dazi tra Usa e Cina diventa la battaglia di Hong Kong, che rischia di restare stritolata tra i due grandi

di Virgilio Chelli 8 Giugno 2020 09:23
financialounge -

DOPO LAGARDE ARRIVA POWELL, MENO PARLA MEGLIO È


Dopo la Bce di Christine Lagarde, che agitando un ramoscello d’ulivo da 1.350 mld ha provato a fare pace con i mercati settimana scorsa, martedì e mercoledì tocca alla Federal Reserve di Jerome Powell, che presiederà il penultimo FOMC prima della pausa agostana. Nessuno si aspetta che la banca centrale americana metta sul piatto altri dollari, dopo aver annunciato persino gli acquisti di ETF obbligazionari per sostenere imprese e economia, ma tutti sono concentrati sulle proiezioni economiche che verranno rese note. Attenzione: notizie positive potrebbero essere indigeste per il mercato mentre un quadro ancora a tinte fosche magari piacerebbe di più. Spieghiamo meglio: se Powell dipingesse un quadro troppo roseo, di un’economia in velocissima uscita dalla recessione, il mercato potrebbe anche capire che il rubinetto dello stimolo monetario potrebbe chiudersi prima del previsto, e magari prenderla male. Un Powell troppo pessimista però potrebbe anche voler dire che le misure messe in campo finora non stanno funzionando a dovere. Meno parole spenderà Powell per spiegarsi e meglio sarà. Però i numeri li deve rendere noti. Speriamo che gli economisti della Fed usino il bilancino da farmacisti.


DOLLARO DEBOLE? DECISAMENTE NO, È SOLO EFFETTO PETROLIO


Girando per i siti finanziari americani e non solo in questi giorni si trovano un mucchio di analisi che parlano di dollaro debole, perché negli ultimi tempi ha ceduto qualche punto nei confronti delle principali valute, a cominciare dall’euro. Di qui qualche guru parte per la tangente scrivendo di declino inevitabile dell’egemonia del biglietto verde, citando deficit e debito americani spinti alle stelle dallo stimolo fiscale. In realtà, contro il suo principale rivale rappresentato dall’euro - che nel paniere dell’indice DXY che misura la forza del dollaro pesa per quasi il 60% - il dollaro è storicamente forte, come mostra il grafico qui sotto.

[caption id="attachment_158926" align="alignnone" width="482"]Dollaro (linea blu) contro euro (linea nera) dal 2014 a oggi Dollaro (linea blu) contro euro (linea nera) dal 2014 a oggi[/caption]

Prendendo come base il 2014 il cammino delle due monete ha preso strada diverse, dollaro a Nord e euro a Sud. Non è l’effetto della guerra dei dazi, né dei timori di disgregazione europea, e nemmeno colpa della Brexit. E’ semplicemente successo che da metà 2014 il petrolio ha preso la strada della discesa, finendo da 100 dollari al barile a 30-40 nel giro di sei mesi, e lì sostanzialmente è rimasto con alti e bassi fino ad oggi. Siccome il petrolio si paga in dollari, il mercato ‘aggiusta’ le oscillazioni della materia prima rispetto alla moneta in cui è denominata, come ai tempi del gold standard con l’oro di cui il petrolio ha preso il posto. Il leggero indebolimento del biglietto verde degli ultimi giorni è la conseguenza del rimbalzo del petrolio dai minimi di aprile, tutto il resto c’entra molto poco.

SU HONG KONG I BLUFF INCROCIATI DI TRUMP E XI


La Guerra dei Dazi tra USA e Cina è diventata la battaglia di Hong Kong, dopo la decisione di Pechino di imporre la ‘sua’ legge sulla sicurezza nella ex colonia britannica e la minaccia americana di togliere alla stessa Hong Kong lo speciale status di partner commerciale e finanziario privilegiato estendendo alla città-stato le stesse tariffe e restrizioni commerciali già imposte alla Cina. La scommessa di Xi Jinping sembra essere quella di poter fare a meno della ‘vetrina’ finanziaria e politica di Hong Kong, il cui posto potrebbe essere agevolmente preso da Shanghai o da Shenzhen, o magari da Singapore. Xi conta anche sul fatto che Hong Kong resta una porta vitale sull’Asia per i capitali americani. Quella di Trump invece è che la Cina farà marcia indietro perché non può permettersi che Hong Kong diventi un’altra Tienanmen 30 anni dopo, screditandola sulla scena mondiale, oltretutto dopo i sospetti che sul virus non abbia detto tutta la verità. Tra i due litiganti c’è il rischio che il terzo non goda, e che Hong Kong faccia la fine di Danzica nel 1939 o di Budapest nel 1956, per le quali tutti i democratici d’occidente erano pronti a manifestare ma nessuno a morire.
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