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L'ex Ilva è l'ultima vittima dei dazi di Trump?

Continua il tormentone sul destino dell’ex Ilva ma più che i cavilli legali e contrattuali sull’impasse sembra pesare l’acciaio di tutta Europa mandato in crisi dalla guerra dei dazi tra Usa e Cina

di Redazione 6 Novembre 2019 12:44
financialounge -  acciaio dazi donald Trump ilva

L’ex Ilva di Taranto, la più grande acciaieria d’Europa, è di nuovo in un cul de sac come ci raccontano ogni giorno TG e prime pagine. Ma il vero nodo che fa esitare gli investitori e li spinge alle marce indietro è solo in parte rappresentato dai problemi di risanamento ambientale e dalle clausole più o meno previste dai contratti sulla tutela penale. In realtà il caso Ilva sembra solo un tassello di una crisi più grande che investe tuta l’Europa dell’acciaio. L’ex Ilva è la punta dell’iceberg della crisi dell’acciaio europeo che arranca. Competitor sempre più aggressivi sono la Cina, gli Stati Uniti, la Turchia e la stessa India dove i produttori cercano di rispondere alla guerra dei dazi dichiarata da Trump a Pechino contenendo i costi e abbassando i prezzi, mandando così fuori mercato i produttori europei.


PRODUZIONE IN CALO IN ITALIA MA ANCHE IN TUTTA L’UNIONE EUROPEA


L’ex Ilva di Taranto è solo un tassello di questa crisi che è stata accentuata dalla guerra dei dazi che a sua volta ha provocato il rallentamento dell’economia mondiale, che ha avuto tra i suoi effetti principali proprio una caduta dei consumi di acciaio, causa la frenata degli investimenti in molti settori, dalle infrastrutture all’edilizia fino all’automotive. Solo in Italia, la produzione di acciaio per l’anno in corso è attesa in calo di oltre il 4%, ma il resto d’Europa non se la passa molto meglio con le previsioni che puntano a una contrazione della produzione in tutta l’Unione Europea di oltre il 3%, sempre nel 2019.

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CINESI E AMERICANI INVECE PRODUCONO DI PIÙ: IL PROBLEMA DEL DUMPING


Un trend opposto a quello della che nei primi tre trimestri dell’anno ha invece messo a segno un aumento della produzione del 9%, mentre anche gli americani continuano a crescere, come segnalano i dati dell’American Iron and Steel Institute. Da inizio anno l’acciaio a stelle e strisce ha aumentato la produzione del 2,5%, anche qui un trend opposto rispetto all’Europa. Cinesi, ma anche turchi e indiani, se la giocano soprattutto sui prezzi, che tengono a livelli insostenibili rispetto a quello che potrebbero permettersi gli europei. Gli americani invece producono di più per compensare le minori importazioni causate dalle tariffe di Trump, la guerra dei dazi appunto.


I GRANDI PROCESSI DI AGGREGAZIONE NON DECOLLANO NON SOLO IN ITALIA


Il calo produttivo europeo non è dovuto solo alla concorrenza di buona parte del resto del mondo, ma anche al sistema delle quote libere, che non aiuta ad arginare l’acciaio importato a prezzi stracciati.In questo ambiente una risposta potrebbe arrivare da fusioni o aggregazioni per aumentare la dimensione e abbattere i costi, sia tra produttori europei sia in un mix con extraeuropei come nel caso Ilva. Ma quando ci si prova, si finisce arenati. E non solo nel caso Ilva. Un altro esempio è il naufragio dei progetti di fusione fra la tedesca ThyssenKrupp e Tata Steel. Senza uno sforzo davvero unitario, nel senso dell’Europa, sembra difficile uscire da quello che è diventato un tunnel e che alla fondazione della Comunità Economica era invece il punto di forza di un’Europa che si risollevava dalle devastazioni della guerra.
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