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Attese & Mercati – Settimana dal 16 settembre 2019

Dai fondamentali di mercato ed economia le ragioni che non giustificano un ciclo di tagli della Fed. Settimana di riunioni per le banche centrali di mezzo mondo mentre Boris Johnson si gioca davanti alla Corte Suprema la sua ‘Brexit’

di Redazione 16 Settembre 2019 09:47

I FONDAMENTALI DI MERCATO E DELL’ECONOMIA NON PUNTANO A TAGLI AGGRESSIVI DEI TASSI USA


Se distogliamo lo sguardo dai movimenti anche violenti di prezzi e rendimenti e guardiamo ai fondamentali del mercato americano dei bond tutte le preoccupazioni dovrebbero dissolversi. Il tasso di default, vale a dire la percentuale di aziende che non riescono a onorare le scadenze sul debito emesso, a fine agosto era poco sopra il 2%, contro una media del 3,9% degli ultimi 30 anni, mentre lo spread di rendimento tra il benchmark e le emissioni di grado più basso, vale a dire junk, era sotto il 5%, contro una media storica sempre a 30 anni vicina al 6%

[caption id="attachment_145861" align="alignnone" width="704"](Fonte: J.P. Morgan) (Fonte: J.P. Morgan)[/caption]

In aggiunta ai fondamentali del mercato dei bond Usa, c’è una lunga lista di motivi per cui la Fed non dovrebbe aprire una corsa al ribasso dei tassi. Le stime sul Pil americano del terzo trimestre continuano a viaggiare a ridosso del 2%, i consumatori americani continuano a consumare, con le vendite al dettaglio che a luglio hanno segnato un nuovo record storico, con le vendite di auto tornate a tirare, mentre l’indice dell’università del Michigan sulla fiducia dei consumatori a settembre è rimbalzato a 92,0 dalla caduta a 89,8 di agosto, anche se resta sotto i livelli di un anno fa. L’inflazione intanto continua a viaggiare sotto il 2%, ma il tasso core è sopra ed ha accelerato a luglio. Insomma, se si fa la tara alla Guerra dei Dazi di ragioni per abbassare aggressivamente i tassi ce ne sono davvero poche.


ATTESE ANCHE LE DECISIONI DELLE BANCHE CENTRALI DI MEZZO MONDO


Non ci sono solo Bce e Fed. Giovedì 19, il giorno dopo la riunione del Fomc americano, tocca alle banche centrali di Giappone, Gran Bretagna, Norvegia, Svizzera, e Sud Africa, con il Brasile in calendario mercoledì. I giapponesi stanno considerando ulteriori allentamenti per sostenere un’economia che continua ad arrancare, e un terzo degli analisti interpellati da Reuters prevede che agisca già questa settimana. La Svizzera ha già i tassi ufficiali a -0,75% e non si vede perché dovrebbe andare dietro la Bce che settimana scorsa ha abbassato da -0,4% a -0,5%. L’unica ragione potrebbe essere un franco svizzero che continua a rafforzarsi su euro. La cortina di fumo della Brexit impedisce ogni visibilità a Bank of England, che prima di muoversi vorrà vedere come va a finire almeno con la scadenza del 31 ottobre. Quella norvegese è una delle poche banche centrali globali che ha continuato ad alzare i tassi in controtendenza ma ora dovrebbe essere arrivata a fine ciclo. Fuori dall’Europa il Brasile dovrebbe tagliare 50 punti base per allinearsi con Europa e Usa, mentre nessuna mossa è attesa da Pretoria.


BORIS JOHNSON SI GIOCA LA ‘SUA’ BREXIT IN TRIBUNALE


Comincia, ma non è chiaro se finisce già martedì, l’udienza della Corte Suprema britannica dedicata al ricorso del primo ministro Boris Johnson contro una sentenza di un altro tribunale, sempre scozzese, che ha dichiarato illegale la sospensione del Parlamento chiesta dallo stesso premier per avere le mani libere nel giocarsi la Brexit con Bruxelles. Boris vuol sospendere il Parlamento di Westminster per 5 settimane, vale a dire fino a metà ottobre, in modo da non essere costretto a sottoporre ai Comuni ogni passo del suo negoziato con la Ue sulla Brexit con il rischio di vederselo bocciare con i voti del suo stesso partito, come è successo a Theresa May che alla fine ha dovuto gettare la spugna. In questo modo potrebbe presentarsi a ridosso della scadenza del 31 ottobre con un ‘prendere o lasciare’, che se bocciato aprirebbe la strada al no-deal e quasi certamente anche a elezioni anticipate. La sospensione del Parlamento è una cosa prevista dalle regole non scritte della Costituzione britannica, ma nessuno vi ha fatto mai ricorso dagli anni 40 del secolo scorso. Gli stessi Comuni hanno cercato di metterci una pezza, approvando con un voto bi-partisan una legge che obbliga Johnson a prolungare la scadenza della Brexit se non viene raggiunto un accordo entro il 19 ottobre.
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