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Brexit

Attese & Mercati – Settimana dall'1 aprile 2019

L’azionario Usa entra nel secondo trimestre dopo una cavalcata che potrebbe anche durare mentre può arrivare un dato record dei posti creati dall’industria. Intanto continua il tormentone Brexit nella sostanziale indifferenza dei mercati

1 Aprile 2019 09:40

L’APRILE DI WALL STREET SARA’ UN DOLCE DORMIRE?


Wall Street entra nel secondo trimestre sull’onda di un primo trimestre stellare chiuso con un guadagno del 13% dell’indice S&P 500 che diventa un rialzo del 20% dai minimi del 24 dicembre 2018. Tuttavia l’azionario americano è più o meno dove stava a fine gennaio dell’anno scorso e a una distanza appena maggiore dai massimi storici di fine settembre-inizio ottobre del 2018. Dal punto di vista tecnico non mancano i segnali rialzisti, come la media mobile a 50 giorni che sta provando a bucare al rialzo quella a 200 giorni, oppure l’indice Dow Transport che settimana scorsa ha messo a segno un rialzo del 3,4%. Un altro segnale rialzista lo possiamo trovare in una lettura contrarian della survey settimanale dell’American Association of Individual Investors, secondo cui i rialzisti sono scesi di 4,1 punti percentuali al 33,2% del totale, ben sotto la media storica del 38,5%, mentre i ribassisti sono aumentati di 3,8 punti al 27,2%, anche qui sotto ma poco la media storica al 30,5%, mentre è diventata affollata la schiera dei neutrali vicini al 40%. Se i ‘Tori’ sono meno numerosi del solito è probabile che possano aumentare. Sul versante opposto incombe l’inversione della curva dei tassi.

L’INDUSTRIA USA CREA POSTI (QUASI) COME AI TEMPI DI REAGAN


Tra i dati in arrivo in settimana spicca il Job Report americano, che venerdì 5 aprile dirà quanti posti di lavoro sono stati creati a marzo, dopo il debole 20.000 del dato di febbraio. Le attese puntano a qualcosa intorno a 150.000, ma la componente manifatturiera, che a febbraio ha aggiunto 10.000 posti, potrebbe mettere a segno un record importante, raggiungendo i 20 mesi consecutivi di creazione di occupazione, eguagliando il record del 1983-84 quando la Reaganomics stava dispiegando i suoi effetti potenti sull’economia americana. Che da allora però è cambiata profondamente, con un peso del settore dei servizi molto più forte rispetto al manifatturiero. Infatti il record si ridimensiona se si guarda al numero dei posti creati nella produzione di beni. Nei 20 mesi degli anni d’oro di Reagan furono 1,34 milioni di nuovi posti nell’industria, questa volta sono meno di un terzo e non arrivano a mezzo milione e si fermano a 417.000, secondo i calcoli della Reuters. Sarà comunque un record che Donald Trump potrà sventolare, perché i 20 mesi consecutivi di creazione di posti di lavoro manifatturieri sono più o meno gli stessi seguiti al suo insediamento alla Casa Bianca e alla riforma fiscale lanciata 15 mesi fa.

LA MAY CONTINUA A INCASSARE NO, MA LA STERLINA RESTA A GUARDARE


E poi c’è il tormentone della Brexit che continua ad aggiungere puntate. Sembra che a Theresa May non siano bastati tre "No" consecutivi del Parlamento di Westminster e voglia fare un quarto tentativo prima di gettare la spugna e aprire la strada ad elezioni anticipate, che sarebbero l’unica scusa che Bruxelles potrebbe accettare per concedere un rinvio ‘lungo’ ed evitare un no-deal caotico. Il tutto accade nella sostanziale indifferenza dei mercati, che sembrano aver più o meno prezzato tutti gli scenari possibili. Da tre mesi la sterlina si muove in range attorno a 1,3 sul dollaro, più o meno dove era finita il giorno dopo il risultato a sorpresa del Referendum di ormai quasi tre anni fa. Al 12 aprile, data ultima concessa dalla UE a Londra per dire sì all’accordo May-Juncker, manca ormai poco più di una settimana. Pochi credono che a Theresa basti per convincere gli euroscettici conservatori e i nord-irlandesi del DUP. Se ci riesce la sterlina dovrebbe recuperare con un balzo quota 1,35, altrimenti potrebbe scendere sotto 1,30. Tutto sommato niente di drammatico. A questo punto potrebbe aprirsi un nuovo percorso, fatto di elezioni anticipate, nuovo governo, magari anche nuovo Referendum, che durerebbe almeno un anno. Magari con i britannici costretti ad andare a votare a maggio per il Parlamento di quell’Unione Europea da cui tre anni prima avevano deciso di uscire.
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