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Dietro la debolezza innaturale del dollaro c’è un nuovo equilibrio governo-Fed

Il governo USA e la Federal Reserve avrebbero stretto una collaborazione per un dollaro più debole, crescenti aspettative inflazionistiche e mercati azionari ancora sostenibili.

24 Gennaio 2018 16:52
financialounge -  dollaro Federal Reserve Joachim Fels PIMCO riforma fiscale USA

La teoria monetaria sostiene che un numero di dollari inferiore in circolazione contro più euro e yen ‘stampati’ dalle banche centrali (rispettivamente BCE e BoJ) dovrebbe determinare un apprezzamento del dollaro invece che un suo deprezzamento. Inoltre, un'espansione fiscale (come quella appena firmata da Trump) combinata con una stretta monetaria (come quella in corso da parte della Federal Reserve), dovrebbe comportare un dollaro più forte.

Invece il biglietto verde ha continuato ad indebolirsi: le teorie tradizionali sulla determinazione del tasso di cambio non possono spiegare questo fenomeno. Joachim Fels, Consulente economico globale di PIMCO, sostiene invece una teoria alternativa che spiegherebbe non solo la debolezza ‘innaturale’ della divisa americana ma pure gli andamenti, anche loro per certi versi sconcertanti, del mercato obbligazionario e di quello azionario.

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L’opinione dell’esperto di PIMCO è che sia in atto un coordinamento fiscale e monetario implicito in grado di sostenere una combinazione di una valuta più debole, tassi d'interesse brevi e intermedi che sono ancorati a nuovi livelli neutrali relativamente bassi, crescenti aspettative inflazionistiche e mercati azionari ancora sostenibili. In pratica, i mercati si starebbero muovendo sulla scia di un potenziale cambio di regime verso una politica collaborativa degli Stati Uniti che vede, da un lato, il governo che finanzia l'espansione fiscale con emissioni obbligazionarie a più breve scadenza e dall’altra la Fed, che adotta una strategia di politica monetaria tale da giustificare il mantenimento dei tassi ufficiali.

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La conseguenza è che i rendimenti obbligazionari a più breve scadenza risultano relativamente bassi anche nel caso di un superamento dell'inflazione potenzialmente prolungato. Inoltre, all'interno del FOMC (l’organo della Fed che decide sui tassi di interesse americani) è iniziato un dibattito attivo sulla possibilità di modificare la strategia di targeting per l'inflazione, spostandosi verso un obiettivo di livello di prezzo o verso un intervallo di inflazione. Entrambe le alternative consentirebbero un prolungamento dell'obiettivo di inflazione del 2% e quindi una politica di tassi (relativamente) bassi più a lungo, che permetterebbero una politica fiscale più espansiva.

Naturalmente, tutto questo è solo un altro tentativo di razionalizzare i recenti movimenti del mercato che sono in contrasto con le teorie tradizionali. Resta da vedere se la narrativa fiscale-monetaria-cooperazione aiuta a predire il futuro.
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