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donald Trump

News & Views – 10 aprile 2017

10 Aprile 2017 09:54
financialounge -  donald Trump Federal Reserve Janet Yellen News & Views Xi Jinping

Insight dalla redazione di FinanciaLounge su quello che si muove nelle economie e nei mercati.


Linguaggio del corpo
È la chiave per interpretare come è veramente andata tra Xi e Trump a Mar a Lago settimana scorsa. Niente comunicati congiunti, niente annunci di accordi, ma dichiarazioni positive dalle due parti e soprattutto ricostruzioni quasi entusiaste dei media cinesi. I missili sulla Siria non sembrano aver turbato l’atmosfera. Il presidente cinese è riuscito a evitare inquadrature imbarazzanti, tipo la Merkel che implora invano una stretta di mano davanti al caminetto della Casa Bianca. E anche posture sottomesse, come il premier giapponese Abe che si è ritrovato la mano prigioniera in quella dell’americano che la puffettava sul dorso come se fosse un cagnolino. Le immagini in tv rimandano un incontro ravvicinato ma sempre a distanza di sicurezza, nella passeggiata in giardino del resort in Florida, Xi non si è mai avvicinato abbastanza da consentire a The Donald di allungargli protettivamente una mano sulla spalla. Un indizio importante lo ha fornito il segretario al Tesoro Mnuchin: c’è stata convergenza sull’interesse comune a ridurre la dimensione delle reciproche bilance commerciali. Il deficit americano con i cinesi l’anno scorso ha raggiunto i 347 miliardi di dollari. Un livello pericoloso per gli USA, che devono aumentare le esportazioni in Cina, ma anche per Pechino, che finisce per dipendere troppo dalle oscillazioni del mercato e dei consumi interni degli americani. Trump aveva previsto un confronto “tough”, tosto. Se c’è stato è rimasto dietro le quinte. La vera vincitrice sembra sia stata comunque Yi Wan Ka, che è il nome pronunciato alla cinese della figlia di Trump, diventata un vero e proprio idolo per milioni di giovani donne cinesi che la imitano in tutto e si ispirano a lei più che alle dive (ci sono ancora?) di Hollywood.

E la Fed bombarda Wall Steet
Quello sulla Siria non è stato l’unico bombardamento della settimana trascorsa. Sul mercato hanno fatto molti più danni le bombe sganciate mercoledì sera dalla Fed di Janet Yellen, di cui abbiamo parlato su FinanciaLounge. Janet ha pensato bene di nascondere nei verbali della riunione di quasi un mese prima due ordigni a scoppio ritardato: la notizia che la gran parte dei membri del FOMC vuol far partire entro l’anno il quantitative tightening, vale a dire la vendita della montagna di securities acquistate negli anni del quantitative easing, drenando liquidità dal mercato, e l’altra notizia molto price sensitive che alcuni membri del FOMC pensano che le azioni di Wall Street abbiano raggiunto prezzi un po’ troppo alti. Il Dow Jones ha reagito con una sbandata intra-day di oltre 200 punti, la più violenta da 14 mesi. Parliamo della riunione del FOMC di metà marzo, quella che ha deciso lo stra-scontato quartino di rialzo, seguita da lungo comunicato e soprattutto da conferenza stampa di Janet. Ma come? Quelli della Fed non perdono occasione per straparlare ogni volta che vedono un microfono e poi si tengono per sé per un mese due bombe come quelle? Fosse capitato a Mario Draghi, che invece ha tenuto la barra dritta senza sbavature sul QE europeo, i tedeschi lo avrebbero messo in croce. Se fosse servita una prova della resilienza di questo mercato, settimana scorsa l’abbiamo avuta. Non è la prima volta che la Fed cerca di affondarlo, come tra fine 2015 e inizio 2016 con la promessa poi non mantenuta di quattro rialzi in un anno, ma ogni volta la reazione è più composta. Meno male che il mandato di Janet scade tra 10 mesi – sempre che The Donald non perda la pazienza e decida di mandarla a casa prima.

Greenspan e quella curva pericolosa
È tornato il ‘conundrum' della curva dei tassi USA? L’espressione, che si può tradurre con ‘rebus’, venne coniata da Alan Greenspan nel periodo tra il 2004 e il 2006, quando la Fed alzava aggressivamente i tassi, che erano stati portati vicino a zero dopo l’attacco dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle, ma la curva dei tassi non si impennava, come nelle attese dell’allora capo della Fed, mentre il dollaro addirittura scendeva. Sembra che qualcosa del genere stia succedendo oggi, la Fed alza, come a metà marzo, ma il mercato reagisce come se abbassasse, e il rendimento del T-bond a 10 anni addirittura scende, appiattendo la curva. Ci risiamo? Per capirci qualcosa di più vale la pena di rileggersi un saggio di Matthew C. Klein uscito a settembre del 2015 sul blog Alphaville del FT. Klein scompone il rendimento del T-bond e arriva alla conclusione che deve essere pari alla media dei tassi a breve attesa nei prossimi 10 anni più un term premium che compensa l’investitore del dover detenere il titolo per un periodo lungo. Il term premium a sua volta dovrebbe essere naturalmente positivo, ma al tempo di Greenspan puntava a sud perché il mercato scontava i pensanti acquisti di T-bond da parte dell’Asia. Oggi il tasso sul T-bond viaggia allineato con le attese sui tassi a breve durante il suo ciclo di vita, vale a dire poco sotto il 2,5%, mentre il term premium si è riportato in territorio positivo dopo l’elezione di Trump risalendo dalla ‘V’ della prima parte del 2016 (effetto del pasticcio Fed). I fattori che possono spingere ancora in alto il term premium sono due: la reflazione globale e la possibilità che la Fed effettivamente cominci a vendere le securities comprate durante il QE, riportandosi a livelli pre-crisi. Ma attenzione, se seguiamo il modello di Klein lo spazio non è molto, intorno al mezzo punto. Che vuol dire un rendimento del T-bond con un tetto al 3%. E un dollaro con un upside limitato. La scommessa sull’impennata della curva americana non promette grandi guadagni.
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