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Baden-Baden

News & Views – 20 marzo 2017

20 Marzo 2017 09:47
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Insight dalla redazione di FinanciaLounge su quello che si muove nelle economie e nei mercati.


Anno 1990: Trump presidente
Domanda: “Quale sarebbe la prima cosa che farebbe se fosse Presidente degli Stati Uniti?” Riposta: “Piazzerei una bella tassa su ogni Mercedes-Benz sbarcata in questo paese e su tutti i prodotti giapponesi. E continueremmo ad avere due splendidi alleati”. Siamo ne 1990, Bush padre è ancora alla Casa Bianca, e Playboy pubblica una chilometrica intervista con The Donald, allora 43 anni, miliardario di successo, che dichiara di non essere interessato alla politica. Ma aggiunge che si candiderebbe se l’America dovesse continuare ad “andare a fondo”. Poi spiega che potrebbe far meglio da Democratico che da Repubblicano, “non perché io sia liberal, in realtà sono conservatore, ma la gente che lavora mi voterebbe, gli piaccio”. E poi snocciola il suo programma, sempre se dovesse pensare a fare il presidente: dotarsi di una forza militare invincibile, e usarla se necessario, e poi mettere la politica estera in mano a gente che viene dal business, come Carl Icahn o Ross Perot. Negli ultimi 27 anni non sembra aver cambiato idee. Si dice che Angela Merkel quell’intervista se la sia studiata prima di volare a Washington settimana scorsa. E forse per quello si è portata dietro i numeri uno di Siemens e BMW. Non sembra sia servito a molto.

Tempo di rospi a Baden-Baden
Per Wolfgang Schaeuble, lo spigoloso ministro delle Finanze tedesco, dare il via libera a quel comunicato deve essere stato come ingoiare una mandria di rospi. Ma alla fine ha dovuto mandarli giù. Lo statement uscito sabato sera dal G20 finanziario (ministri del Tesoro e banchieri centrali) di Baden-Baden era quasi una fotocopia del precedente vertice di Hangzhou, Cina, lo scorso settembre, mancavano solo sei parolette: "we will resist all forms of protectionism", vale a dire “ci opporremo a ogni forma di protezionismo”. Manca anche ogni riferimento alla lotta al cambiamento climatico. La scusa ufficiale è che commercio e ambiente non rientrano nelle competenze di Steven Mnuchin, l’ex Goldman che ora fa il segretario al Tesoro di Trump, che quindi non poteva prendere impegni in materie riservate ad altri ministri. Il fatto è che a settembre Hillary Clinton era quasi presidente, e il G20 era un’occasione d’oro per fare campagna anti-Trump che l’ex first lady non si fece scappare. In sei mesi il mondo è cambiato e il calendario ha fatto toccare proprio ai tedeschi il compito ingrato di rimangiarsi quel manifesto. Da quando The Donald è arrivato alla Casa Bianca il commercio mondiale non è crollato (anzi, vedi sotto). Ma dagli apparati sovra-nazionali, abituati a insegnare ai businessmen come devono fare il loro mestiere, cominciano ad arrivare scricchiolii sinistri.

Container alla riscossa?
Per l’industria globale dello shipping, quella che muove milioni di container in giro per il mondo, il 2016 è stato uno degli anni più duri della sua storia. Nell’anno scorso si sono concentrati tutti gli effetti negativi accumulati dall’inizio della crisi: stallo del commercio mondiale, sovra-capacità strutturale accumulata negli anni pre-2008, collasso dei prezzi delle commodity, rallentamento cinese. Il risultato è stato che le tariffe spot sulle principali rotte dello Shanghai Containerized Freight Index tra inizio 2015 e metà 2016 sono crollate di oltre il 60%, mandando in profondo rosso i conti dei principali operatori nella prima metà dell’anno scorso. Ma ora, come segnala un recentissimo report di Standard Life, è partita la reazione: rottamazione dei porta container obsoleti, più disciplina e conseguente graduale rialzo dei prezzi, investimento in tecnologie, cambiamenti strutturali con importanti consolidamenti, come l’acquisto da parte della danese Maersk Line della germanica Hamburg Sud, o della fusione annunciata tra le giapponesi K Line, MOL e NYK. La conclusione del report è che, dopo un 2016 da dimenticare il settore sta riconquistando pricing power, la capacità di fare i prezzi e non subirli. Dal fondo toccato nella prima metà del 2016 ad oggi le tariffe sono raddoppiate. Lo shipping resta un’industria rischiosa e volatile, ma forse è venuto il momento di dare fiducia. E soprattutto, i massicci investimenti effettuati o in programma mostrano che i grandi operatori continuano a scommettere sulla ripresa degli scambi globali, alla faccia del presunto protezionismo che li minaccia.
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