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Balzo del rendimento dei BTP, perché è scattato il campanello d’allarme

L’Italia ha registrato una crescita nominale dell’1,7% annuo negli ultimi anni: può sostenere l’elevato debito se tiene i conti in ordine con i tassi dei BTP all’1,7%.

27 Gennaio 2017 09:39
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La fiammata dei rendimenti del BTP decennale italiano, balzato ieri al 2,23% (dall’1,8% di inizio 2017) ha lanciato un campanello d’allarme. Perché, se è vero che i tassi di interesse del mercato obbligazionario sono in rialzo in tutte le principali aree geografiche e valutarie del mondo, nel nostro paese il fenomeno assume connotati più critici.

A puntualizzarlo è Yves Longchamp, Head of Research di ETHENEA Independent Investors (Schweiz) AG, secondo il quale il trend che vede l’incremento dei rendimenti statunitensi può determinare danni collaterali nella periferia dell’Eurozona, dove la crescita nominale è rimasta debole mentre il debito è sostenuto come nel caso, per l’appunto, dell’Italia.

“In un paese come gli Stati Uniti, dove l’economia ha ormai quasi archiviato la grande recessione, ci sono forti giustificazioni per tassi in graduale aumento. Al contrario per paesi come l’Italia, dove il rapporto debito complessivo/PIL (incluse le passività finanziarie) raggiunge il 160%, a fronte del 114% circa negli Stati Uniti, e la crescita annua nominale media negli ultimi cinque anni si è limitata all’1,7%, contro il 4% degli Usa, può presentare parecchi ostacoli e, di conseguenza, rivelarsi particolarmente arduo” spiega Yves Longchamp.

Infatti, in estrema sintesi, si può affermare che i rendimenti del mercato obbligazionario italiano possono salire fino all’1,7% e quelli statunitensi fino al 4% senza mettere in pericolo la sostenibilità del debito, a patto che il disavanzo fiscale si mantenga su livelli accettabili.

Non solo. Yves Longchamp mette in guardia anche sulle implicazioni derivanti da un dollaro forte. Il biglietto verde, che dopo l’ultima riunione della Federal Reserve di dicembre si è ulteriormente rafforzato, sembra non incidere sulla solidità dell’economia statunitense ma potrebbe esserlo per il resto del mondo, in particolare per le economie che hanno legato la propria valuta alla divisa a stelle e strisce, ma anche per la periferia dell’Eurozona.
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