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International Editor’s Picks – 23 gennaio 2017

23 Gennaio 2017 09:52
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Theresa ambasciatrice d’Europa alla Casa Bianca
Incredibile ma vero, a difendere le ragioni dell’Unione Europea davanti al nuovo presidente americano sarà Theresa May, la premier britannica impegnata nella hard Brexit. Sarà il primo leader ad essere ricevuto da Donald Trump dopo l’insediamento, e quando arriverà venerdì 27 sarà accolta nello studio ovale dal busto di Wiston Churchill, che Obama aveva fatto rimuovere nel 2009 per far posto alla statua di Martin Luther King. È stata una delle prime cose che ha fatto il nuovo presidente, ma non ha tolto l’effige del campione dei diritti civili, come ha scritto sbagliando l’autorevole Time, c’era posto per tutti e due. La May sarà la prima e il presidente messicano Enrique Peña Nieto sarà il secondo qualche giorno dopo. Cosa andrà a dire a The Donald, Theresa lo ha spiegato al Financial Times ieri: prima di tutto spera di portare a casa qualcosa in termini di accordo commerciale USA-UK, ma gli dirà anche francamente che non condivide il suo scetticismo su un’Europa che potrebbe disintegrarsi. Secondo la May, la decisione di uscire del Regno Unito non va in quella direzione, anzi, Londra vuole che l’Europa resti forte e che abbia una partnership strategica forte con la Gran Bretagna, e possibilmente anche con gli USA. Per Merkel e Juncker, che aveva sbeffeggiato Trump il giorno dopo l’elezione di novembre, non poteva esserci un’umiliazione peggiore, essere rappresentati e difesi alla Casa Bianca da chi si prepara a lasciare l’Unione.

I 12 mesi più lunghi di Janet Yellen
La capa della Fed sta seduta su una delle poltrone più scomode d’America. Alla Casa Bianca c’è un presidente che in campagna elettorale la ha pubblicamente accusata di tenere bassi i tassi per fare un piacere a Obama e alla Clinton. E che ora, rompendo con l’ortodossia, parla di dollaro troppo forte. Ma solo per essere subito smentito dal segretario al Tesoro da lui nominato, Steven Mnuchin, ex Goldman Sachs, secondo cui è importante mantenere un dollaro forte nel lungo termine. La differenza tra i due sarebbe solo di ordine temporale, troppo forte oggi, ma deve restare forte domani. Per la Yellen un bel rebus. Ha promesso tre rialzi dei tassi quest’anno, che vanno sicuramente in direzione di un dollaro forte. Se fa marcia indietro fa la figura della banderuola che si mette al vento di chi comanda. Se tiene il punto rischia di far arrabbiare Trump. I dati economici non la aiutano, puntano senza esitazione a un’economia forte e a un’inflazione in ripresa, che consiglierebbero di alzare. E per ora Janet sembra propendere per tenere il punto, le ultime dichiarazioni parlano di un’economia che sarebbe rischioso lasciar scaldare troppo. Il prossimo meeting del FOMC è fissato per il 31 gennaio-1 febbraio. Ma è improbabile che arrivi un rialzo dei tassi, non è prevista la conferenza stampa. Il secondo dell’anno potrebbe essere buono, metà febbraio e conferenza stampa. Ma la vera domanda non è se e quando la Fed alza, ma se Janet riesce a resistere fino a febbraio 2018, quando il suo mandato arriva a scadenza naturale.

E se le commodity dessero una mano a Trump?
L’investitore globale scruta l’orizzonte alla ricerca di segnali che indichino la direzione del 2017. L’effetto Trump per ora sembra esaurito, almeno quello psicologico e emotivo, per una nuova ondata positiva o negativa legata alla sua presidenza bisognerà aspettare le mosse concrete e gli effetti che avranno sull’economia. Quindi è all’economia globale e non alla politica che ora bisogna guardare. L’anno è partito con un fuoco d’artificio di dati che puntano a uno stato di salute in netto miglioramento nell’ultimo scorcio del 2016, dagli USA alla Cina e perfino all’Europa. Il miglior indicatore dei progressi di un malato è il suo appetito. Se mangia voracemente vuol dire che sta bene. L’alimento base dell’economia è da sempre lo stesso, e si chiama commodity. Per questo è giusto chiedersi se la perdita di forza del superciclo globale delle commodity degli ultimi anni sia a un punto di svolta. Alcuni esperti sono di questo parere, e segnalano due indicatori particolarmente rialzisti. Il primo è che i metalli industriali hanno sovraperformato i metalli preziosi con un margine che non si vedeva da 26 anni. Vuol dire che gli investitori non solo puntano sui titoli industriali perché credono nella crescita, ma anche che abbandonano le posizioni difensive sull’oro. Il secondo segnale riguarda i titoli industriali e energetici, che insieme hanno realizzato la miglior performance dal 1999 sugli indici S&P e Dow Jones. Accanto ai segnali rialzisti ci sono però anche le variabili. La prima riguarda l’Opec e la sua capacità di gestire i tagli di produzione decisi per ridurre le scorte e far ripartire il mercato. La seconda ci riporta a Trump e alla sua effettiva capacità di mettere in atto politiche efficaci per la crescita. Se le commodity fossero pronte a un nuovo ciclo rialzista uno degli effetti positivi sarebbe di mettere un freno alla forza del dollaro, che di solito si muove in direzione inversa, dando una mano ulteriore alle economie emergenti. Un bell’allineamento astrale. Forse The Donald è anche fortunato.
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