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Idee di investimento – Azioni – 11 luglio 2016

11 Luglio 2016 09:11
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In attesa di verificare se e come i millennial (i nati tra il 1980 e il 2000) prendano il testimone in fatto di risparmio e investimenti, sono i risparmiatori over 40 anni quelli a cui fa capo la quota maggiore dei patrimoni in gestione nel nostro paese. Ed è pertanto normale che l’industria dell’asset management focalizzi su di loro una grande attenzione. Come ha fatto, per esempio, Legg Mason, che ha promosso un’appendice tutta italiana, legata alla loro Global Investment Survey annuale, che ha coinvolto 260 investitori della penisola. Un’indagine che, come è spiegato nell’articolo “I segreti dei portafogli degli investitori italiani over 40”, ha permesso di alzare il velo sulle mosse in portafoglio e sulle richieste degli over 40, a cominciare dall’aspetto che li preoccupa di più: il forte aumento della volatilità sui mercati.

A questo proposito, guardando al passato, si possono trarre alcune preziose indicazioni. In primis, come si legge nell’articolo “Com’è possibile gestire la volatilità dei mercati”, è necessario diversificare il portafoglio in base alle fonti di rischio economico anziché alle fonti di rendimento: un portafoglio in grado di attenuare i rischi imprevisti di contesti macroeconomici diversi può aiutare a rimanere sulla strada giusta in qualunque contesto di tassi d’interesse. Non basta cioè variegare il portafoglio in azioni e obbligazioni ma è utile anche adottare un opportuna differenzazione geografica, valutaria e con asset class (come per esempio le materie prime) che hanno dimostrato di avere una bassa correlazione con i mercati. In secondo luogo occorre ridurre la volatilità anche quando i tassi aumentano: oltre al reddito, le obbligazioni possono offrire agli investitori il vantaggio di diminuire la volatilità dei rendimenti di portafoglio. Per esempio, i titoli a reddito fisso a breve e brevissima scadenza e quelli a tasso variabile risultano poco influenzati dalle variazioni dei tassi di interesse. Infine, ma certo non per importanza, gli investitori devono tenersi pronti a diversi, possibili, scenari economici anziché prendere decisioni d’investimento sulla base delle prospettive dei tassi d’interesse.

In ogni caso, in GAM al momento preferiscono confermare la modalità ‘capital preservation’: primo non prenderle come ha modo di sintetizzare Carlo Benetti, Head of Market Research and Business Innovation di GAM (Italia) SGR, nell’articolo “Perché confermiamo la modalità capital preservation’”, perché le fonti di incertezza non mancano come non mancano le insidie emotive che possono ingannare anche gli operatori professionali. “Decisioni allocative (attività ben diversa dal trading) prese sull’emotività si rivelano il più delle volte decisioni sbagliate. E se è rischioso smontare posizioni sugli smottamenti degli indici non è automaticamente premiante acquistare su prezzi stressati senza riguardo a selettività e qualità” puntualizza Carlo Benetti secondo il quale è buona regola confrontare le proprie idee con quelle di un esperto di fiducia: un esercizio utile per evitare l’insidia dell’eccesso di fiducia nel proprio giudizio (overconfidence) o la ricerca di notizie che confermino il nostro giudizio (confirmation bias, ricerca di conferme).

Ma volendo investire in Borsa su quali settori si può puntare? Gli specialisti di Amundi lo spiegano nell’articolo “Borse, i settori destinati a superare lo stress test della Brexit”. A livello settoriale in Europa, in questo contesto caratterizzato dalla Brexit, quelli che dovrebbero continuare a registrare performance superiori alla media di mercato sono i difensivi (salute, telecomunicazioni, alimentari, bevande e tabacco) e quelli a più alto profilo internazionale (energia, semitecnologie, tecnologie): quelli ciclici o che sono comunque esposti al Regno Unito come i titoli finanziari, quelli del settore automobilistico, i servizi ai consumatori e le vendite al dettaglio potrebbero invece soffrire ancora.

David Herro, CFA®, Partner, Chief Investment Officer, International Equities di Harris Associates (Gruppo Natixis Global Asset Management), invece, nell’articolo “Settore bancario, la reazione post Brexit è stata esagerata”, fa notare che, se il prezzo si discosta notevolmente da quello che si ritiene possa essere il valore intrinseco di un’azienda di qualità, tale situazione viene solitamente vista come un’opportunità di acquisto: pertanto, vi sono vari titoli prezzati in modo interessante per gli investitori a lungo termine. Tuttavia, conclude il manager, è sempre importante puntare sulla qualità, quindi ricercare le aziende con posizioni finanziarie solide, capaci di resistere anche in periodi difficili.

Una view particolare sul segmento bancario della zona euro lo esprime Philippe Bodereau, Portfolio Manager e Global Head of Financial Research di PIMCO nell’articolo “Banche europee, cosa racconta l’ottovolante di Borsa”. “Anche le banche dell’Eurozona hanno sperimentato una volatilità elevata a seguito del risultato della Brexit, ma è anche vero che si tratta di titoli che negli ultimi anni sono stati piuttosto volatili, con gli investitori accaniti ad inseguire gli anelli più deboli del settore” fa presente Philippe Bodereau. Il riferimento è anche alle banche italiane e portoghesi con elevati crediti deteriorati (Npl, non performing loans) e deficit di capitale. “Il sell-off (vendita di titoli senza limitazione né di prezzo né di quantità) sui titoli delle banche con bilanci più solidi e dividendi elevati sembra invece meno giustificato e, dopo la vendita indiscriminata di venerdì 24 giugno, stiamo cominciando a vedere il ritorno di una certa differenziazione tra un titolo e un altro” conclude Philippe Bodereau.

Infine, una nota sui mercati emergenti. Tra coloro che non intravedono particolari implicazioni sui mercati emergenti a causa della Brexit c’è il Credit Suisse. In base ad un loro studio effettuato nella settimana post Brexit, gli esperti della banca d’affari svizzera, come hanno argomentato nell’articolo “Mercati emergenti, c’è spazio per un rialzo del 15% in un anno”, ritengono probabile un rialzo del 15% dell’MSCI emerging markets, l’indice che riflette l’andamento di tutte le Borse dei paesi in via di sviluppo.
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