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Brexit

Cosa succede ai mercati se si afferma Brexit

16 Giugno 2016 09:17
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“Secondo le nostre stime la sterlina, che ha già ceduto il 5-6% prima del voto, potrebbe ancora perdere fino al 12%, il tutto accompagnato da un aumento della volatilità”: è questa una delle previsioni delineate da Mark Burgess, CIO EMEA e Responsabile azionario globale di Columbia Threadneedle Investments, nell’immaginare le implicazioni di una eventuale affermazione dei sostenitori del Brexit nel prossimo referendum del 23 giugno. Per quanto riguarda, più in generale, i mercati, il timore principale, sempre secondo Mark Burgess, resterebbe ancora una volta l’incertezza.

“Mentre i politici perdono tempo a discutere i dettagli del divorzio, i mercati potrebbero lasciarsi prendere dalla frenesia. Un aumento della volatilità e, più in generale, una perdita di fiducia nei mercati creerebbero non poche difficoltà agli investitori” sostiene Mark Burgess per il quale i titoli di stato britannici (Gilt) potrebbero perdere il loro status di bene rifugio, per via della possibilità che le imprese trasferiscano le proprie sedi centrali altrove o per il timore che la Bank of England (BoE) fatichi a mantenere il controllo della politica monetaria.

Tuttavia, puntualizza lo strategist, dal momento che i detentori di Gilt sono in maggioranza fondi pensione nazionali e banche centrali, è improbabile che questi soggetti si dimostrino investitori volubili, pronti a lasciare i mercati britannici a causa della decisione sulla Brexit. Ne deriva quindi che l’uscita dall’UE si ripercuoterà probabilmente più sulla valuta e su specifici titoli piuttosto che sui Gilt, con un impatto potenzialmente limitato.

In secondo luogo, nell’ambito dei mercati azionari diversi settori saranno interessati in misura differente. Com’è prevedibile, l’impatto maggiore sarà accusato dalle banche, mentre la grande distribuzione, gli altri servizi finanziari, gli assicuratori e gli operatori immobiliari saranno meno influenzati dall’evento. Per contro, le utility e le grandi società internazionali non dovrebbero subire conseguenze di rilievo, ipotizzando naturalmente che la Brexit non sia immediatamente seguita dalla Scoxit (ovvero dall’uscita della Scozia dal Regno Unito per aderire alla UE).

“I servizi finanziari forniscono al Regno Unito un vantaggio competitivo cruciale e se le banche internazionali non si precipitano ad attraversare il canale l’economia britannica ne trarrà uno straordinario beneficio nel lungo termine” confida Mark Burgess facendo riferimento al fatto che alcune società finanziarie hanno già iniziato a trasferirsi a Francoforte e a Dublino per evitare un sovraccarico burocratico, in quanto la presenza a Londra era vista in ogni caso come un varco d’accesso all’Europa. Non solo. Trapelano indiscrezioni anche sul fatto che alcuni wealth / asset manager e assicuratori stiano valutando le trafile giuridiche e regolamentari a cui dovrebbero sottoporsi per continuare a operare in Europa se non restassero nella City.

“Il mercato immobiliare, infine, sarebbe ovviamente minacciato dalla perdita di acquirenti esteri e dall’impatto proveniente dai rendimenti obbligazionari” rivela Mark Burgess secondo il quale, tuttavia, l’indebolimento della sterlina potrebbe compensare questi effetti negativi e attrarre maggiore interesse. “Se il governo britannico decidesse di modificare le norme relative agli acquisti di immobili da parte di residenti esteri potremmo assistere a una diminuzione degli investimenti, anche se la natura vischiosa del mercato immobiliare impedirebbe una rapida fuga da parte di coloro che hanno già investito” conclude Mark Burgess.
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