quantitative easing
QE della BCE, tutte le riflessioni dei gestori internazionali
26 Gennaio 2015 09:50

nuncio giovedi scorso di Mario Draghi dell’avvio del QE (Quantitative Easing) non ha deluso i mercati e gli investitori. Tuttavia, dopo una prima reazione molto positiva, sono cominciati a fioccare i commenti e le riflessioni degli addetti ai lavori tra i quali, quelle molto ascoltate, degli asset manager internazionali. Questo ultimi, si sono dichiarati prevalentemente a favore del varo del Qe europeo ma non hanno mancato di far pervenire le loro perplessità.
Tra coloro che si sono espressi più a favore figura Yves Longchamp, head of macroeconomic research Ethenea Independent Investors SA: secondo l’economista, a un ritmo di 60 miliardi al mese fino a settembre 2016, il programma è molto consistente. Inoltre è molto ampio visto che riguarda bond governativi, Abs e covered bond fino a 30 anni: abbinato alle riforme strutturali, il Qe potrebbe, secondo Yves Longchamp, essere lo strumento giusto per combattere la deflazione, sostenere il credito e infine la crescita.
“Questo programma è indiscutibilmente un grande passo avanti rispetto alle manovre adottate finora dal Concilio Governativo della BCE. Ci vorrà del tempo prima che si possano iniziare a vedere gli effetti positivi di questo programma nell’economia reale, ma nel giro di un anno o poco più dovremmo assistere ad una ripresa, ipotizzando che l’aggregato monetario cresca ai tassi che abbiamo stimato. In seguito, vi potrebbe essere anche una graduale crescita dell’inflazione rispetto all’attuale deflazione” è questa invece la sintesi del commento di John Greenwood, Capo economista globale di Invesco sulla decisione annunciata giovedi da Draghi. Le ipotesi cui fa cenno John Greenwood si basano su tre presupposti, come spiegato nell’articolo “La BCE getta le basi per la ripresa economica europea”:
1) che non vi siano dispersioni ad esempio dovute alla continua riduzione del bilancio o agli aumenti di capitale delle banche dell’Eurozona;
2) che la BCE non acquisti obbligazioni a tranche mensili di 60 miliardi di euro dalle banche;
3) che le banche continuino a concedere prestiti agli attuali tassi. A queste specifiche condizioni, l’aggregato M3 dell’Eurozona passerebbe da una crescita del 3,1% annuo al 9% - 10% annuo all’inizio del 2016.
Anche Tanguy Le Saout, Head of European Fixed Income di Pioneer Investments è soddisfatto della dimensione del programma di Quantitative Easing (QE), l’elemento chiave sul quale si concentravano le aspettative del mercato, ma, nel’articolo “L’annuncio di Draghi un passo nella direzione giusta”si dichiara invece deluso relativamente ai rischi di credito sui titoli acquistati che saranno a carico delle diverse banche nazionali: secondo Tanguy Le Saout si tratta di un segnale non troppo positivo visto che in un’unione ogni cosa dovrebbe essere condivisa.
Il team Multi Asset Solutions di BNP Paribas Investment Partners, dal canto suo, sottolinea che il QE si dimostrerà favorevole per i mercati finanziari e meno per l'economia reale. Il QE, per gli esperti del team, è positivo per gli asset rischiosi dal momento che i rendimenti dei mercati obbligazionari sono già estremamente bassi. Tuttavia, se uno dei driver del calo dei rendimenti era la paura di deflazione, la politica anti-deflazione adottata dalla BCE potrebbe attutire alcuni rischi per i mercati obbligazionari: i vincoli di acquisto della BCE dovrebbero infatti agire da limitatore ai possibili rialzi dei rendimenti. Ciò consentirebbe gli investitori di guadagnare in virtù della ripidità della curva dei tassi e delle variazioni delle volatilità dei mercati. Per l'economia reale, il team Multi Asset Solutions di BNP Paribas Investment Partners, rivela che l'impatto del QE sembra piuttosto limitato e meno efficace che negli Stati Uniti, a causa di un forte dipendenza dei prestiti dal settore bancario europeo. D’altra parte il QE manterrà l'euro debole e, dal momento che le esportazioni rappresentano circa 44% del PIL della zona euro, è di gran lunga più importante rispetto agli Stati Uniti o al Giappone dove le esportazioni rappresentano solo, rispettivamente, il 13% e il 17% del PIL.
“Le misure annunciate dall’Eurotower non avranno un effetto radicale sui fondamentali dell’Eurozona: rimaniamo quindi prudenti sull’outlook di breve e medio termine della crescita economica per l’area della moneta unica” ha commentato Olivier Arpin, economista di Union Bancaire Privée (UBP) nell’articolo “Perché rimaniamo prudenti sulla crescita dell’Eurozona”: anche per Olivier Arpin, infatti, i dettagli presentati in conferenza stampa dal presidente della BCE hanno riservato qualche sorpresa (positiva) ma anche elementi di delusione.
Tesi condivisa pure da Andrew Bosomworth, managing director di PIMCO. “Funzionerà il QE? Non illudiamoci: la politica monetaria può aiutare a mantenere il controllo sul ciclo economico, ma una crescita sostenibile deriva in definitiva dagli investimenti, dalla produttività e dalla crescita della popolazione. E affinché si giunga a ciò, sia il settore privato che quello pubblico dovranno fare la loro parte” commenta Andrew Bosomworth che poi parla dei possibili impatti sul mercato e sulla strategia di portafoglio consigliata:
“Una generalizzazione delle esperienze di QE negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Giappone suggerisce che un simile programma è favorevole per gli asset rischiosi e per l'oro e sfavorevole per la duration e per il valore della moneta (in termini di svalutazione). Sebbene il Giappone rappresenti un'eccezione sul fronte della duration, riteniamo che l'Eurozona evidenzierà dinamiche simili a quelle di altri paesi che hanno adottato il QE. I titoli di Stato dei paesi periferici hanno registrato buone performance in passato, ma non vediamo particolari motivi per venderli. Con rendimenti del 2,7% sulle emissioni pubbliche italiane e spagnole a più lungo termine, il differenziale non è insignificante rispetto ad obbligazioni tedesche di pari scadenza. Ci aspettiamo che questi spread si riducano” rileva Andrew Bosomworth che poi continua a ravvisare opportunità nelle obbligazioni societarie investment grade e high yield. Per Andrew Bosomworth, inoltre, le azioni bancarie dell'Eurozona e le obbligazioni bancarie subordinate hanno sottoperformato i corrispondenti mercati dei titoli di Stato di recente, e gli interventi della BCE sembrano prefigurare la possibilità di un certo recupero.
La Global Equity Research di Credit Suisse suggerisce infine di ridurre le posizioni azionarie sull’Europa periferica: un euro più debole avvantaggia maggiormente il centro Europa piuttosto che i paesi periferici; gli spread delle obbligazioni sono già bassi in un contesto di un aumento del rischio del credito sovrano non mutualizzato a lungo termine; utility e banche si sono già allineate agli spread; e il momentum dei rendimenti è fortemente diminuito rispetto ai paesi core. “Riteniamo invece che per l'Italia il mercato abbia sottovalutato il potenziale di ripresa. Vediamo ulteriori segnali di riforma in Italia: l’articolo 18 è stato abolito, il costo del lavoro per i nuovi assunti è stato ridotto a zero per tre anni a favore delle PMI, sono stati applicati tagli al numero di contratti a breve termine ed è stato rafforzato il ruolo delle agenzie interinali. L’Italia appare a sconto rispetto al P/B ratio (rapporto prezzo / patrimonio netto) , e anche rispetto al P/E ratio (rapporto prezo / utili) secondo una proiezione di 12 mesi” sottolineano gli esperti di Credit Suisse che poi concludono: “L'Italia ha una leva aggregata bassa fuori dalla norma. Si prevede inoltre che ci sarà un grande avanzo di bilancio primario. Il costo del lavoro in Italia è inferiore a quello di Irlanda, Germania e Francia e i segnali sull'avanzo di bilancio sul lungo periodo indicano come la mancanza di competitività dell’Italia sia stata esasperata dal mercato”.
Tra coloro che si sono espressi più a favore figura Yves Longchamp, head of macroeconomic research Ethenea Independent Investors SA: secondo l’economista, a un ritmo di 60 miliardi al mese fino a settembre 2016, il programma è molto consistente. Inoltre è molto ampio visto che riguarda bond governativi, Abs e covered bond fino a 30 anni: abbinato alle riforme strutturali, il Qe potrebbe, secondo Yves Longchamp, essere lo strumento giusto per combattere la deflazione, sostenere il credito e infine la crescita.
“Questo programma è indiscutibilmente un grande passo avanti rispetto alle manovre adottate finora dal Concilio Governativo della BCE. Ci vorrà del tempo prima che si possano iniziare a vedere gli effetti positivi di questo programma nell’economia reale, ma nel giro di un anno o poco più dovremmo assistere ad una ripresa, ipotizzando che l’aggregato monetario cresca ai tassi che abbiamo stimato. In seguito, vi potrebbe essere anche una graduale crescita dell’inflazione rispetto all’attuale deflazione” è questa invece la sintesi del commento di John Greenwood, Capo economista globale di Invesco sulla decisione annunciata giovedi da Draghi. Le ipotesi cui fa cenno John Greenwood si basano su tre presupposti, come spiegato nell’articolo “La BCE getta le basi per la ripresa economica europea”:
1) che non vi siano dispersioni ad esempio dovute alla continua riduzione del bilancio o agli aumenti di capitale delle banche dell’Eurozona;
2) che la BCE non acquisti obbligazioni a tranche mensili di 60 miliardi di euro dalle banche;
3) che le banche continuino a concedere prestiti agli attuali tassi. A queste specifiche condizioni, l’aggregato M3 dell’Eurozona passerebbe da una crescita del 3,1% annuo al 9% - 10% annuo all’inizio del 2016.
Anche Tanguy Le Saout, Head of European Fixed Income di Pioneer Investments è soddisfatto della dimensione del programma di Quantitative Easing (QE), l’elemento chiave sul quale si concentravano le aspettative del mercato, ma, nel’articolo “L’annuncio di Draghi un passo nella direzione giusta”si dichiara invece deluso relativamente ai rischi di credito sui titoli acquistati che saranno a carico delle diverse banche nazionali: secondo Tanguy Le Saout si tratta di un segnale non troppo positivo visto che in un’unione ogni cosa dovrebbe essere condivisa.
Il team Multi Asset Solutions di BNP Paribas Investment Partners, dal canto suo, sottolinea che il QE si dimostrerà favorevole per i mercati finanziari e meno per l'economia reale. Il QE, per gli esperti del team, è positivo per gli asset rischiosi dal momento che i rendimenti dei mercati obbligazionari sono già estremamente bassi. Tuttavia, se uno dei driver del calo dei rendimenti era la paura di deflazione, la politica anti-deflazione adottata dalla BCE potrebbe attutire alcuni rischi per i mercati obbligazionari: i vincoli di acquisto della BCE dovrebbero infatti agire da limitatore ai possibili rialzi dei rendimenti. Ciò consentirebbe gli investitori di guadagnare in virtù della ripidità della curva dei tassi e delle variazioni delle volatilità dei mercati. Per l'economia reale, il team Multi Asset Solutions di BNP Paribas Investment Partners, rivela che l'impatto del QE sembra piuttosto limitato e meno efficace che negli Stati Uniti, a causa di un forte dipendenza dei prestiti dal settore bancario europeo. D’altra parte il QE manterrà l'euro debole e, dal momento che le esportazioni rappresentano circa 44% del PIL della zona euro, è di gran lunga più importante rispetto agli Stati Uniti o al Giappone dove le esportazioni rappresentano solo, rispettivamente, il 13% e il 17% del PIL.
“Le misure annunciate dall’Eurotower non avranno un effetto radicale sui fondamentali dell’Eurozona: rimaniamo quindi prudenti sull’outlook di breve e medio termine della crescita economica per l’area della moneta unica” ha commentato Olivier Arpin, economista di Union Bancaire Privée (UBP) nell’articolo “Perché rimaniamo prudenti sulla crescita dell’Eurozona”: anche per Olivier Arpin, infatti, i dettagli presentati in conferenza stampa dal presidente della BCE hanno riservato qualche sorpresa (positiva) ma anche elementi di delusione.
Tesi condivisa pure da Andrew Bosomworth, managing director di PIMCO. “Funzionerà il QE? Non illudiamoci: la politica monetaria può aiutare a mantenere il controllo sul ciclo economico, ma una crescita sostenibile deriva in definitiva dagli investimenti, dalla produttività e dalla crescita della popolazione. E affinché si giunga a ciò, sia il settore privato che quello pubblico dovranno fare la loro parte” commenta Andrew Bosomworth che poi parla dei possibili impatti sul mercato e sulla strategia di portafoglio consigliata:
“Una generalizzazione delle esperienze di QE negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Giappone suggerisce che un simile programma è favorevole per gli asset rischiosi e per l'oro e sfavorevole per la duration e per il valore della moneta (in termini di svalutazione). Sebbene il Giappone rappresenti un'eccezione sul fronte della duration, riteniamo che l'Eurozona evidenzierà dinamiche simili a quelle di altri paesi che hanno adottato il QE. I titoli di Stato dei paesi periferici hanno registrato buone performance in passato, ma non vediamo particolari motivi per venderli. Con rendimenti del 2,7% sulle emissioni pubbliche italiane e spagnole a più lungo termine, il differenziale non è insignificante rispetto ad obbligazioni tedesche di pari scadenza. Ci aspettiamo che questi spread si riducano” rileva Andrew Bosomworth che poi continua a ravvisare opportunità nelle obbligazioni societarie investment grade e high yield. Per Andrew Bosomworth, inoltre, le azioni bancarie dell'Eurozona e le obbligazioni bancarie subordinate hanno sottoperformato i corrispondenti mercati dei titoli di Stato di recente, e gli interventi della BCE sembrano prefigurare la possibilità di un certo recupero.
La Global Equity Research di Credit Suisse suggerisce infine di ridurre le posizioni azionarie sull’Europa periferica: un euro più debole avvantaggia maggiormente il centro Europa piuttosto che i paesi periferici; gli spread delle obbligazioni sono già bassi in un contesto di un aumento del rischio del credito sovrano non mutualizzato a lungo termine; utility e banche si sono già allineate agli spread; e il momentum dei rendimenti è fortemente diminuito rispetto ai paesi core. “Riteniamo invece che per l'Italia il mercato abbia sottovalutato il potenziale di ripresa. Vediamo ulteriori segnali di riforma in Italia: l’articolo 18 è stato abolito, il costo del lavoro per i nuovi assunti è stato ridotto a zero per tre anni a favore delle PMI, sono stati applicati tagli al numero di contratti a breve termine ed è stato rafforzato il ruolo delle agenzie interinali. L’Italia appare a sconto rispetto al P/B ratio (rapporto prezzo / patrimonio netto) , e anche rispetto al P/E ratio (rapporto prezo / utili) secondo una proiezione di 12 mesi” sottolineano gli esperti di Credit Suisse che poi concludono: “L'Italia ha una leva aggregata bassa fuori dalla norma. Si prevede inoltre che ci sarà un grande avanzo di bilancio primario. Il costo del lavoro in Italia è inferiore a quello di Irlanda, Germania e Francia e i segnali sull'avanzo di bilancio sul lungo periodo indicano come la mancanza di competitività dell’Italia sia stata esasperata dal mercato”.
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