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Abenomics

International Editor’s Picks - 10 marzo 2014

10 Marzo 2014 09:15
financialounge -  Abenomics cina default ecommerce energia rinnovabile giappone innovazione International Editor's Picks IPO occupazione turchia USA Wayfair
La storia l’avevamo già ascoltata sulle nevi di Davos un paio di mesi fa
in occasione del World Economic Forum. Jesse Colombo la ripropone su
Forbes questa settimana: la Turchia è motivo di preoccupazione per gli investitori
perchè il peggio potrebbe ancora dover arrivare. D’altra parte il paese
viene da una corsa veramente tumultuosa, in 10 anni l’economia turca ha
quadruplicato la sua dimensione cavalcando un boom di consumi e costruzioni
che si è tradotto in un fiorire di centri commerciali, grattaceli e
infrastrutture avveniristiche. Una crescita, va anche ricordato, che ha
attraversato praticamente imperturbabile tutta la crisi finanziaria
globale. Ora il boom è diventato una bolla pericolosa, che
contiene tutti gli ingredienti di quella esplosa in Occidente alla fine
del 2008. I mercati finanziari e la moneta hanno già accusato il colpo,
ma forse si sottovalutano le conseguenze sull’economia reale che non
sono ancora arrivate, scrive Forbes.

Può un bond default essere una buona notizia per il mercato? Sì se siamo in Cina, scrive il Financial Times. Martedì scorso Shanghai Chaori Solar ha annunciato che non riuscirà a pagare gli interessi sul debito emesso due anni fa. La cifra è modesta, qualche decina di milioni di dollari, ma la notizia è stata accolta come il segno di una svolta importante e positiva, proprio perché si tratterebbe del primo vero default del debito in Cina. Per capire bisogna inquadrare il particolare mercato dei bond in Cina, sono quasi tutte emissioni garantite dallo Stato, a livello centrale o periferico. Se c’è un default vuol dire che lo Stato vuol dare una lezione a qualcuno e cercare di educare gli investitori e gli emittenti domestici: non esistono guadagni senza rischi. E per il mercato, quello vero, va bene così.

Si chiama Wayfair, è basata a Boston, e fino a qualche giorno fa non la conosceva quasi nessuno. Poi, informa Business Insider, quando ha raccolto $157 milioni in un round di equity da un gruppo di investitori che comprende il CFO di TripAdvisor Julie M.B. Bradley, e che ne proietta il valore a un paio di miliardi di dollari, il nome è cominciato a diventare familiare anche fuori dalla capitale del Massachusetts. Che cosa fa Wayfair? E-commerce, con una specializzazione nei beni per la casa, dai divani alle camera da letto. Fatturato $600 milioni nel 2012 e quasi $1 miliardo nel 2013. Adesso ha ingaggiato come CFO l’ex presidente di Warner Music Group, Michael Fleisher, e prepara lo sbarco a Wall Street. Wayfair è nata negli anni del dopo-bolla internet con il nome CSN Stores. Un brand senza riferimento al web proprio per non spaventare i produttori, che al solo pronunciare della parola Internet scappavano. La formula di successo è stata il lancio di 270 siti web separati, ognuno molto specializzato, come AllBarsStools.com, EveryMirror.com, e BedroomFurnitureDirect.com. Oggi ha una base di 5 milioni di clienti. Un’altra IPO in arrivo da tenere d’occhio.

La finanza è innovazione continua, soprattutto se porta un blasone come Goldman Sachs. La novità è l’innovazione finanziaria applicata alla filantropia. Ne parla il Financial Times che ha trovato in un progetto benefico a favore dell’imprenditoria femminile nei paesi più poveri targato appunto Goldman e World Bank tutti gli ingredienti tipici dell’ingegneria finanziaria. Anche se questa volta non finalizzati al profitto. O forse sì, magari nel lungo termine. C’è la leva, anche abbastanza potente, perché si parte da una donazione di $50 milioni per metterne in moto 500. C’è la collaborazione pubblico-privato, abbastanza insolito per la Banca Mondiale. E c’è la potenzialità di costruire relazioni di lungo periodo, sia economiche che politiche, in aree del mondo secondo molti destinate a un rapido sviluppo.

Tutti guardano ai dati USA sul lavoro, perché su quei dati la Fed decide se e quanto stringere i cordoni della borsa. Bloomberg invece è andata a guardare cosa succede sul mercato del lavoro giapponese. E ha fatto una scoperta sorprendente e interessante. Ci sono quasi più posti di lavoro che pretendenti, e il trend si profila di medio lungo periodo, una situazione che non si vedeva dagli anni Settanta e che magari potrebbe contribuire a produrre finalmente un po’ di desiderata inflazione anche nel paese del Sol Levante. In gennaio le posizioni di lavoro aperte per ogni persona in cerca di lavoro erano appena 1,04 e le stime dicono che al 2017 il rapporto sarà di 1,5. Vale a dire che ogni 3 posti di lavoro occupabili solo due saranno effettivamente riempiti. Con effetti abbastanza prevedibili sull’inflazione. Insomma, l’Abenomics funziona e produce gli effetti sperati, forse ancora di più. Magari bisogna stare attenti a non esagerare.

Torna l’energia solare, anche senza incentivi. Almeno in USA. L’Economist scrive che il simbolo di questo revival è costituito da un mare di 347.000 specchi a 45 minuti d’auto a ovest di Las Vegas. Come ai tempi di Archimede gli specchi riflettono i raggi del sole nel deserto su caldaie montate su una torre alta circa 150 metri. Il complesso si chiama Ivanpah, ha aperto a metà febbraio ed è il più grande di questo tipo al mondo. Produce 377 megawatt di energia destinata a 140.000 abitazioni nel sud della California. Sembra che sia visibile da una delle stazioni USA orbitanti nello spazio. Il solare è in crescita in America nonostante la costante riduzione degli incentivi. Nel 2013 ha rappresentato quasi il 30% della nuova capacità elettrica anche se i valori assoluti restano bassi: oggi solo l’1% dell’elettricità americana viene dal solare e l’obiettivo di arrivare al 27% entro il 2050 rimane lontano e ambizioso.
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