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Christophe Bernard

Mercati sviluppati ancora meglio degli emergenti

6 Marzo 2014 10:10
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Sebbene i mercati emergenti versino in condizioni decisamente migliori rispetto al 1997/1998 (crisi asiatica e russa) e al 2001/2002 (default dell’Argentina, traballamenti in Brasile), i mercati sviluppati restano ancora i preferiti. Almeno finchè molti dei paesi emergenti non adotteranno le necessarie riforme strutturali per attrarre gli investimenti esteri diretti e migliorare le infrastrutture come hanno fatto la Cina e il Messico. È questa la convinzione di Christophe Bernard, Chief Strategist di Vontobel per il quale, sono da superare anche l’insoddisfacente corporate governance e l’eccessivo interventismo statale che non mette al centro il rendimento degli azionisti.

I motivi dell’attuale debolezza dei mercati emergenti, sono riassumibili in tre punti:
1. le prospettive economiche sono peggiorate, tanto che gli analisti stanno correggendo al ribasso le stime di crescita;
2. la redditività delle aziende ha subito pressioni;
3. le prospettive di un giro di vite dell’US Federal Reserve (Fed) conducono a continui deflussi di capitale.

“Nonostante le differenze regionali, possiamo affermare che la crescita delle principali economie emergenti come Cina, Russia, Turchia, Brasile, Messico e India, sta rallentando ormai da diverso tempo, dopo che la domanda di consumo trainata dal credito ha raggiunto il culmine. Le banche centrali dei paesi con un deficit delle partite correnti si sono viste costrette ad alzare i tassi di interesse per frenare la svalutazione delle loro valute a fronte di un’inflazione persistente. La stretta creditizia, con un aumento dei rendimenti obbligazionari e un rialzo dei tassi di interesse sul credito, non è di buon auspicio per la futura domanda di consumo. D’altro canto, la ripresa negli Stati Uniti e in generale nelle economie avanzate dovrebbe offrire un crescente supporto ai mercati emergenti” sottolinea Christophe Bernard.

A differenza delle imprese domiciliate nei paesi industrializzati, che sono riuscite a mantenere margini elevati anche durante la recessione del 2008/2009, le aziende dei mercati emergenti hanno accusato un’erosione di redditività. Di conseguenza, le loro stime di utile sono state più volte corrette al ribasso. Alcune di queste revisioni erano imputabili all’indebolimento dei mercati finali delle materie prime, ma il principale motivo è da ricercare in un’insoddisfacente corporate governance e/o nell’interventismo statale.

Spesso il rendimento degli azionisti, per dirla in termini blandi, non è proprio al centro dell’interesse delle grandi imprese statali. Mentre la leadership cinese ha annunciato di voler migliorare l’allocazione del capitale, tra molti governi dei paesi emergenti rimane diffusa la tendenza a voler esercitare un influsso diretto o indiretto sui settori economici chiave, spesso a scapito degli azionisti. Sebbene le attuali valutazioni presentino un meritato sconto rispetto ai mercati sviluppati, i decisori non hanno ancora mostrato una volontà di riforme sufficiente a innescare una vera inversione di tendenza.

“È fuori dubbio che le politiche monetarie estremamente accomodanti della Fed e di altre importanti banche centrali sono state una manna per le economie emergenti. Gli afflussi di capitale, derivanti dalle manovre delle banche centrali, hanno aiutato i paesi emergenti ad alimentare il boom del credito ai consumi. Logicamente, la lenta chiusura delle chiuse di liquidità da parte della Fed porterà alla luce le debolezze strutturali di alcune economie emergenti. Diventa quindi urgente colmare alcune lacune con riforme efficaci. Interessante notare che il 2014 sarà un anno di elezioni nei principali paesi emergenti” puntualizza Christophe Bernard.

Tutto sommato, i mercati emergenti versano in condizioni decisamente migliori rispetto al 1997/1998 (crisi asiatica e russa) e al 2001/2002 (default dell’Argentina, traballamenti in Brasile). Questa situazione è riconducibile ai tassi di cambio flessibili, all’aumento delle riserve di divise e alle migliori cifre del debito pubblico.

“Tuttavia, molti paesi si sono crogiolati nell’autocompiacimento e oggi si ritrovano di fronte a un deterioramento delle partite correnti, un aumento dell’inflazione interna e un calo dei rendimenti societari. Ciò che è più grave, tuttavia, è che non hanno adottato le necessarie riforme strutturali per attrarre gli investimenti esteri diretti e migliorare le infrastrutture (ad eccezione della Cina e del Messico)” spiega Christophe Bernard per il quale proprio questa sarebbe stata però la ricetta per mantenere elevate le potenzialità di crescita. Anche perché, le valutazioni sono migliorate, ma la volatilità rimane.

“Noi manteniamo pertanto una posizione neutrale nei mercati emergenti e seguiamo molto da vicino i potenziali catalizzatori e abbiamo sfruttato la debolezza dei mercati per aumentare in modo selettivo la nostra esposizione azionaria. Ne consegue un lieve soprappeso delle azioni. Le politiche monetarie accomodanti, i bassi livelli di inflazione, la ripresa economica globale e la robusta redditività delle imprese aprono prospettive positive per i mercati azionari sviluppati” conclude Christophe Bernard.
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