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Perché il rialzo dei tassi dei T-bond USA non deve spaventare

Non segnala una fuga dal debito USA ma un ritorno dell’appetito per il rischio dopo i timori estivi su guerra dei dazi e emergenti. E la curva dei tassi torna più ripida, allontanando i timori di recessione.

4 Ottobre 2018 13:03
financialounge -  obbligazioni tassi USA treasury

La curva appiattita e tendente all’inversione dei tassi americani è stato uno dei tormentoni dell’estate, insieme al rischio contagio di valute e debito dei mercati emergenti e alle conseguenze della guerra dei dazi dichiarata da Trump al resto del mondo. Tipicamente, ma non inesorabilmente, una curva dei tassi invertita, vale a dire che il rendimento sulle scadenze più brevi dei titoli del Tesoro americano supera quello delle più lunghe, indica possibile recessione in arrivo nell’arco di 12-18 mesi. E il ragionamento che circolava due-tre mesi fa era appunto questo: alla fine la guerra dei dazi si farà sentire sulla crescita globale, le prime crepe si vedono già negli emergenti, e la curva dei tassi ci dice che il rischio recessione si avvicina.

QUANDO LO SPREAD CHE SALE È UNA BUONA NOTIZIA


Da un paio di settimane, con un movimento che ha accelerato nei primi giorni di ottobre, la famosa curva è finalmente diventata più ripida, con lo spread (c’è anche in America) tra il rendimento del T-bond a due anni e quello a 10 anni che in pochi giorni si è allargato da una ventina di puti base a 30. Questo non perchè siano scesi i tassi a due anni ma perchè sono saliti quelli a 10 e a 30, in area 3,2% e 3,3% rispettivamente, ai massimi da metà 2011. Decisamente una buona notizia, che non a caso l’indice Dow Jones festeggia andando a sfiorare la soglia mai violata dei 27.000 punti anche se poi ritraccia? Non tutti sono d’accordo, e c’è chi si sforza di vedere sempre il bicchiere mezzo vuoto.

Trumponomics a pieno ritmo, l’Italia si conferma il rischio per l’Europa


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IL RISCHIO È VISTO MENO... RISCHIOSO


Questi ultimi infatti fanno i titoli sulla fuga dal debito americano, per paura del deficit pubblico che esplode e di un’inflazione che potrebbe scappare di mano alla Fed nonostante i costanti rialzi dei tassi. E’ una lettura totalmente sbagliata, e per capirlo basta tornare a quest’estate. Effettivamente i timori elencati sopra circolavano tra gli investitori, con l’effetto di far uscire i capitali dagli asset giudicati più a rischio, come valute e debito emergenti, e farli affluire su quelli ritenuti i più sicuri del mondo, vale a dire il T bond americano. L’effetto meccanico è stato che i prezzi dei T bond salivano e i rendimenti scendevano, appiattendo appunto la curva. Ora succede l’inverso, i dati americani confermano uno dopo l’altro che l’economia è più forte che mai, un petrolio ai massimi da oltre 4 anni contribuisce a suggerire che forse i timori sui mercati emergenti erano esagerati, e tra gli investitori torna l’appetito per il rischio, che viene visto come meno rischioso di qualche mese fa.

Gli americani sopportano con leggerezza un deficit doppio dell’Italia


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LE PROFEZIE IN RITARDO DEL FMI


Rispetto a quest’estate non sono arrivati soltanto una raffica di buoni dati americani, ma anche l’accordo raggiunto da Trump per il nuovo NAFTA con Messico e Canada, mentre i timori di un’escalation commerciale con la Cina sono in parte rientrati. Una delle cose divertenti è che il ritorno della fiducia anche in asset rischiosi torna proprio mentre la capa del Fondo Monetario Christine Lagarde lancia il suo monito fuori tempo su prospettive dell’economia globale diventate ‘meno brillanti’. Probabilmente è vero l’opposto, la corsa dell’economia americana aiuta anche gli emergenti e l’Europa, che beneficia di uno degli effetti collaterali di questa situazione, vale a dire un dollaro più forte e un euro più debole, che a un’area che vive di esportazioni non fa male.
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