Weekly Bulletin
Generali, un’Odissea che non finisce con Mps-Mediobanca
Un ponte di comando che vede Delfin e Caltagirone al fianco di Siena offre un azionariato con le spalle larghe ma non soddisfa ancora le aspettative di indipendenza di mercato e investitori
di Stefano Caratelli 1 Dicembre 2025 07:53
Avventurarsi in previsioni sull’esito finale delle indagini della Procura di Milano sul caso Mps-Mediobanca, il cui valore, e anche di più, sta tutto nella quota strategica del 13% e passa che piazzetta Cuccia detiene da sempre in Generali, è un esercizio che è meglio lasciare agli specialisti in vicende giudiziarie: è possibile che tutto si dissolve rapidamente, come spesso accade, o che si trascini per mesi e anni nelle aule di tribunale, come succede ancor più di frequente. Quello che interessa veramente il mercato e gli investitori è il destino di Generali, l’asset finanziario italiano più pregiato, un oggetto del desiderio la cui indipendenza e italianità erano stati ai tempi blindati dalla Mediobanca di Cuccia.
Poi la stessa Mediobanca era diventata l’ombra di quella governata dal “grande vecchio” e alla fine rappresentava una specie di pietra al collo del Leone di Trieste, priva delle risorse e delle alleanze per proteggerla da possibili attacchi esteri, tipo Allianz, Axa, o qualche americano. Ora, dopo l’Opa ormai irreversibile di Mps, una frittata da cui è impossibile ricomporre le uova, gli azionisti che ne hanno assunto una specie di controllo di fatto, vale a dire la stessa Mps, Caltagirone e Delfin, che detengono quote importanti sia nella banca senese che nella stessa Generali, hanno spalle più larghe e possono sostenere largamente misure difensive, come un aumento di capitale importante, a differenza della Mediobanca di Nagel.
Ma non vuol dire che l’attuale assetto della compagnia triestina sia stabile e duraturo, a prescindere da come andranno a finire le vicende giudiziarie. Gli eredi di Del Vecchio hanno già il 10%, mentre il costruttore ed editore romano arriva al 7%, che si aggiungono al 13,2% di Mediobanca che ora fa un tutt’uno con Mps per un totale poco sopra il 30%. Una presa ancora più forte se si considera che i primi e il secondo sono anche azionisti di Siena rispettivamente al 10%, per un totale del 20%.
Questo assetto di Generali non può essere considerato stabile, perché una compagnia così grande e strategica non può essere legate agli assetti di due gruppi familiari. In giro per l’Europa non ci sono situazioni simili, l’azionariato di Allianz, Axa e Swiss Re è in mano per la stragrande maggioranza a istituzionali o sul mercato, e anche in USA. Un management espressione di gruppi privati familiari non sarebbe gradito agli investitori istituzionali e al mercato, e farebbe perdere appeal anche al titolo Generali.
E poi gli attuali azionisti di riferimento potrebbero essere tentati di vendere, soprattutto Delfin, una compagine di eredi tenuta insieme dalla leadership di Francesco Milleri e dal controllo di Essilor. Servirebbe un “traghettatore” capace di rilevare quote importanti di Generali e magari della stessa Mps-Mediobanca per poi magari riallocarle in modo più consono rispetto alle aspettative di investitori istituzionali e mercato.
Mani forti di questo tipo in Italia scarseggiano, e comunque un riassetto di Generali non potrebbe essere realizzata senza un avallo politico, oltre che di mercato, considerato anche che il Tesoro resta comunque ancora un azionista importante di Mps. Sarebbe meglio che fossero italiane, anche se in passato investitori esteri hanno dato una mano alla costruzione storie di successo senza rinunciare all’italianità, come nel caso di Goldman Sachs con Prysmian Group, la vecchia Pirelli Cavi acquisita e poi trasformata in public company dal colosso americano.
Bottom line. L’eterno tormentone di Generali non è ancora al capolinea, anche se l’attuale assetto di quasi controllo targato Mps-Delfin-Caltagirone può sopravvivere alle inchieste e durare un po’ di tempo. Resta la storia di Borsa, e non solo, che continuerà ad attirare l’interesse degli investitori e magari a creare opportunità interessanti.
MEDIOBANCA ERA DIVENTATA UNA PIETRA AL COLLO
Poi la stessa Mediobanca era diventata l’ombra di quella governata dal “grande vecchio” e alla fine rappresentava una specie di pietra al collo del Leone di Trieste, priva delle risorse e delle alleanze per proteggerla da possibili attacchi esteri, tipo Allianz, Axa, o qualche americano. Ora, dopo l’Opa ormai irreversibile di Mps, una frittata da cui è impossibile ricomporre le uova, gli azionisti che ne hanno assunto una specie di controllo di fatto, vale a dire la stessa Mps, Caltagirone e Delfin, che detengono quote importanti sia nella banca senese che nella stessa Generali, hanno spalle più larghe e possono sostenere largamente misure difensive, come un aumento di capitale importante, a differenza della Mediobanca di Nagel.
IL NUOVO ASSETTO NON SEMBRA STABILE E DURATURO
Ma non vuol dire che l’attuale assetto della compagnia triestina sia stabile e duraturo, a prescindere da come andranno a finire le vicende giudiziarie. Gli eredi di Del Vecchio hanno già il 10%, mentre il costruttore ed editore romano arriva al 7%, che si aggiungono al 13,2% di Mediobanca che ora fa un tutt’uno con Mps per un totale poco sopra il 30%. Una presa ancora più forte se si considera che i primi e il secondo sono anche azionisti di Siena rispettivamente al 10%, per un totale del 20%.
I GRANDI COMPETITOR HANNO UN AZIONARIATO DIVERSO
Questo assetto di Generali non può essere considerato stabile, perché una compagnia così grande e strategica non può essere legate agli assetti di due gruppi familiari. In giro per l’Europa non ci sono situazioni simili, l’azionariato di Allianz, Axa e Swiss Re è in mano per la stragrande maggioranza a istituzionali o sul mercato, e anche in USA. Un management espressione di gruppi privati familiari non sarebbe gradito agli investitori istituzionali e al mercato, e farebbe perdere appeal anche al titolo Generali.
LA TENTAZIONE DI VENDERE
E poi gli attuali azionisti di riferimento potrebbero essere tentati di vendere, soprattutto Delfin, una compagine di eredi tenuta insieme dalla leadership di Francesco Milleri e dal controllo di Essilor. Servirebbe un “traghettatore” capace di rilevare quote importanti di Generali e magari della stessa Mps-Mediobanca per poi magari riallocarle in modo più consono rispetto alle aspettative di investitori istituzionali e mercato.
MANI FORTI, LA POLITICA E IL MERCATO
Mani forti di questo tipo in Italia scarseggiano, e comunque un riassetto di Generali non potrebbe essere realizzata senza un avallo politico, oltre che di mercato, considerato anche che il Tesoro resta comunque ancora un azionista importante di Mps. Sarebbe meglio che fossero italiane, anche se in passato investitori esteri hanno dato una mano alla costruzione storie di successo senza rinunciare all’italianità, come nel caso di Goldman Sachs con Prysmian Group, la vecchia Pirelli Cavi acquisita e poi trasformata in public company dal colosso americano.
Bottom line. L’eterno tormentone di Generali non è ancora al capolinea, anche se l’attuale assetto di quasi controllo targato Mps-Delfin-Caltagirone può sopravvivere alle inchieste e durare un po’ di tempo. Resta la storia di Borsa, e non solo, che continuerà ad attirare l’interesse degli investitori e magari a creare opportunità interessanti.
Trending