Sunday View
Intelligenza artificiale o browser tradizionali: quale rimedio per i malanni del web?
L’annuncio del nuovo browser di OpenAI è solo una sfida a Google, o un paradigma che riscriverà il nostro modo di vivere internet?
di Lorenzo Cleopazzo 26 Ottobre 2025 09:30
Ci sono termini, nello slang solitamente accostato ai giovani, che per quella fascia di popolazione che li usa regolarmente rientrano ormai nel parlato comune. Sono espressioni, parole e modi di dire che più del loro significato effettivo, hanno un valore più profondo e segnano un senso di appartenenza e di legame su cui qualche sociologo potrebbe scrivere più di un trattato. Autori come Freud o Durkheim direbbero che sono dei ‘totem’, simboli con cui ci si riconosce all’interno di un gruppo. Certo, ora bisogna andare a spiegare a questi due che il loro concetto è stato usato per includere termini come ‘bella lì’ o ‘meme’, ma questa è un’altra storia.
Tra queste forme di linguaggio ‘easy’ (per restare in tema) ce n’è una che è nata sul web e parla proprio del web. Per riferirsi a ciò che spopola online, non si usa più un generico ‘internet’, ma si mette l’articolo: elle-apostrofo-internet. È una forma amichevole, un modo per riferirsi a uno spazio in cui passiamo molto del nostro tempo, dove scopriamo e condividiamo contenuti, e con cui abbiamo familiarità. L’internet però sta riscrivendo sé stesso, e nel Sunday View di questa settimana andiamo a provargli la febbre.
Pronti? Let’s go.
Come sta l’internet? Di solito, per rispondere a certe domande, il mondo intero utilizza come termometro la situazione negli Stati Uniti; solo che la colonnina di mercurio da quelle parti si è alzata davvero parecchio.
La febbre ha iniziato a salire quando grandi redazioni come CNN, Vox Media, Buzzfeed, Washington Post e altre hanno iniziato a fare licenziamenti consistenti; ma la botta finale è arrivata con il calo del traffico dei siti d’informazione, con giganti come FinancialTimes e Wall Street Journal che arrivano a perdere fino al 50%.
La medicina prescritta dal dottore? L’intelligenza artificiale, che ha fatto registrare un +2100% dei referral arrivati dai chatbot. Non proprio il massimo se ti chiami Google, perché il dottore si chiama Sam Altman e la pillola di OpenAI è durissima da mandare giù per i server di Chrome. Il bugiardino recita: Atlas, il nuovo browser AI native che sconvolge il paradigma dei vecchi browser. Se i motori di ricerca tradizionali incanalano gli utenti verso le pagine web e le annesse pubblicità, Atlas evita tutto questo, portando dritto dritto al risultato migliore e più completo possibile.
A ben vedere, il rimedio proposto dal dottor Altman, più che un farmaco è un vero e proprio salasso. Una di quelle terapie medievali che con l’obiettivo di estirpare il malanno, dissanguavano il povero paziente. E così parrebbe, agli occhi di Google: gli utenti e i siti potrebbero giovare di un nuovo paradigma web, ma Chrome ne uscirebbe male a dir poco. Può essere che il “farmaco” proposto da OpenAI non vada riletto col significato che gli attribuiamo noi?
Avete mai notato che in alcune antiche farmacie, alla parola ‘rimedi’ viene affiancata anche ‘veleni’? Non è un caso: in greco antico il termine ‘pharmakon’, infatti, aveva proprio entrambi i significati. Il senso del termine era di legare ogni preparato sia alle sue potenzialità benefiche, sia a quelle maligne. Tutto dipendeva dalle misture dell’erborista, che doveva saper dosare anche le sostanze nocive in modo da curare il malessere nei pazienti, e non procurargliene altro. In filosofia, il termine ‘pharmakon’ viene ripreso sfruttando proprio questo dualismo tra bene e male in un unico concetto. Il primo è Platone, che nel Fedro lo associa alla scrittura, vista sia come panacea, sia come minaccia della ragione; il secondo è Jacques Derrida, che riprende proprio questo concetto platonico per denunciare l’ambiguità delle interpretazioni della filosofia occidentale.
Rimedio o veleno, farmaco o tossina, medicina o stregoneria? Queste non erano solo le domande degli antichi per un preparato galenico, ma sono anche i dubbi di fronte a quella che molti hanno già ribattezzato come la “terza guerra dei browser”. Perché se negli anni ’90 c’era Netscape contro Explorer; negli anni ’10 Explorer contro Firefox, Safari e Chrome; ora è Chrome a doversi battere contro i motori di ricerca AI native. Quest’ultimi si propongono come terapia per un internet malato, ma il paziente si dice sanissimo. Anzi, potrebbe accusare il medico che quello che gli prescrive non è un pharmakon, bensì pharmakeía (che aveva il significato sia di ‘farmaco’, sia di ‘stregoneria’). E in effetti qualcosa di magico sembrerebbe averlo, dato che questi nuovi browser saranno capaci di coordinare operazioni complesse per dare direttamente un risultato completo alla ricerca. Quelli tradizionali semplicemente caricano pagine web, mentre quelli AI native diventano assistenti per la navigazione web e per i task personali
Il modo in cui facciamo ricerche online è in discussione con l’AI, e Atlas di Sam Altman non è neanche l’unico a prenotarsi per il ruolo di farmacista/stregone. Secondo Casey Newton, giornalista americano esperto di tecnologia, oltre a OpenAI in lista ci sono anche nomi come Opera, Arc, Perplexity e Comet. Tutti questi si prefiggono il compito di dare risultati prima ancora che l’utente lanci la ricerca. E se non è stregoneria questa...
Il Dottor Sam Altman ha prescritto una dose del suo Atlas per guarire i malanni dell’internet, ma probabilmente dalle parti di Google la vedono più come una cura supposta...
Tra queste forme di linguaggio ‘easy’ (per restare in tema) ce n’è una che è nata sul web e parla proprio del web. Per riferirsi a ciò che spopola online, non si usa più un generico ‘internet’, ma si mette l’articolo: elle-apostrofo-internet. È una forma amichevole, un modo per riferirsi a uno spazio in cui passiamo molto del nostro tempo, dove scopriamo e condividiamo contenuti, e con cui abbiamo familiarità. L’internet però sta riscrivendo sé stesso, e nel Sunday View di questa settimana andiamo a provargli la febbre.
Pronti? Let’s go.
FARMACO
Come sta l’internet? Di solito, per rispondere a certe domande, il mondo intero utilizza come termometro la situazione negli Stati Uniti; solo che la colonnina di mercurio da quelle parti si è alzata davvero parecchio.
La febbre ha iniziato a salire quando grandi redazioni come CNN, Vox Media, Buzzfeed, Washington Post e altre hanno iniziato a fare licenziamenti consistenti; ma la botta finale è arrivata con il calo del traffico dei siti d’informazione, con giganti come FinancialTimes e Wall Street Journal che arrivano a perdere fino al 50%.
La medicina prescritta dal dottore? L’intelligenza artificiale, che ha fatto registrare un +2100% dei referral arrivati dai chatbot. Non proprio il massimo se ti chiami Google, perché il dottore si chiama Sam Altman e la pillola di OpenAI è durissima da mandare giù per i server di Chrome. Il bugiardino recita: Atlas, il nuovo browser AI native che sconvolge il paradigma dei vecchi browser. Se i motori di ricerca tradizionali incanalano gli utenti verso le pagine web e le annesse pubblicità, Atlas evita tutto questo, portando dritto dritto al risultato migliore e più completo possibile.
A ben vedere, il rimedio proposto dal dottor Altman, più che un farmaco è un vero e proprio salasso. Una di quelle terapie medievali che con l’obiettivo di estirpare il malanno, dissanguavano il povero paziente. E così parrebbe, agli occhi di Google: gli utenti e i siti potrebbero giovare di un nuovo paradigma web, ma Chrome ne uscirebbe male a dir poco. Può essere che il “farmaco” proposto da OpenAI non vada riletto col significato che gli attribuiamo noi?
PHARMAKON
Avete mai notato che in alcune antiche farmacie, alla parola ‘rimedi’ viene affiancata anche ‘veleni’? Non è un caso: in greco antico il termine ‘pharmakon’, infatti, aveva proprio entrambi i significati. Il senso del termine era di legare ogni preparato sia alle sue potenzialità benefiche, sia a quelle maligne. Tutto dipendeva dalle misture dell’erborista, che doveva saper dosare anche le sostanze nocive in modo da curare il malessere nei pazienti, e non procurargliene altro. In filosofia, il termine ‘pharmakon’ viene ripreso sfruttando proprio questo dualismo tra bene e male in un unico concetto. Il primo è Platone, che nel Fedro lo associa alla scrittura, vista sia come panacea, sia come minaccia della ragione; il secondo è Jacques Derrida, che riprende proprio questo concetto platonico per denunciare l’ambiguità delle interpretazioni della filosofia occidentale.
PHARMAKEÍA
Rimedio o veleno, farmaco o tossina, medicina o stregoneria? Queste non erano solo le domande degli antichi per un preparato galenico, ma sono anche i dubbi di fronte a quella che molti hanno già ribattezzato come la “terza guerra dei browser”. Perché se negli anni ’90 c’era Netscape contro Explorer; negli anni ’10 Explorer contro Firefox, Safari e Chrome; ora è Chrome a doversi battere contro i motori di ricerca AI native. Quest’ultimi si propongono come terapia per un internet malato, ma il paziente si dice sanissimo. Anzi, potrebbe accusare il medico che quello che gli prescrive non è un pharmakon, bensì pharmakeía (che aveva il significato sia di ‘farmaco’, sia di ‘stregoneria’). E in effetti qualcosa di magico sembrerebbe averlo, dato che questi nuovi browser saranno capaci di coordinare operazioni complesse per dare direttamente un risultato completo alla ricerca. Quelli tradizionali semplicemente caricano pagine web, mentre quelli AI native diventano assistenti per la navigazione web e per i task personali
Il modo in cui facciamo ricerche online è in discussione con l’AI, e Atlas di Sam Altman non è neanche l’unico a prenotarsi per il ruolo di farmacista/stregone. Secondo Casey Newton, giornalista americano esperto di tecnologia, oltre a OpenAI in lista ci sono anche nomi come Opera, Arc, Perplexity e Comet. Tutti questi si prefiggono il compito di dare risultati prima ancora che l’utente lanci la ricerca. E se non è stregoneria questa...
BONUS TRACK
Il Dottor Sam Altman ha prescritto una dose del suo Atlas per guarire i malanni dell’internet, ma probabilmente dalle parti di Google la vedono più come una cura supposta...
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