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L&G: perché l’attuale equilibrio delle finanze Usa non è sostenibile a lungo termine
Non si vedono provvedimenti per ridurre il prezzo dei beni importati ed è pertanto molto probabile che l’impatto dei dazi si scaricherà sui margini delle aziende, soprattutto su quelle non quotate in borsa
di Leo Campagna 3 Settembre 2025 08:00

In un contesto caratterizzato dalle incertezze sui dazi e sulle politiche commerciali, e dalle implicazioni su crescita e inflazione, uno degli osservati speciali è il deficit federale statunitense. Nel mese di luglio, in base ai dati del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, ammontava a 291 miliardi di dollari. Un disavanzo più ampio di quello rilevato nello stesso mese dello scorso anno, anche se, in termini percentuali, il rapporto con il Pil è del 6,4%, in leggero miglioramento rispetto al 7% di inizio 2025.
Un miglioramento frutto anche dell’apporto dei dazi, che attualmente ammonta complessivamente all’1,1% del prodotto interno lordo statunitense. “Tenendo anche conto della possibilità di potenziali dazi su prodotti farmaceutici e semiconduttori, finora esclusi, prevediamo che le entrate tariffarie saliranno a quasi l'1,5% del Pil entro la fine dell'anno” fa sapere Tim Drayson, Head of Economics di L&G.
Il manager, nel chiedersi chi pagherà per questi gettiti di reddito più alti, nota che, finora, la questione non sembra riguardare il consumatore medio americano. In base ai calcoli, l’inflazione dovuta ai dazi dovrebbe infatti aver inciso di appena due o tre decimi di punto. “Tuttavia, se si vuole scaricare il peso dei dazi sui paesi esteri è necessario che i prezzi delle merci importate siano abbassati un’opzione che, ad oggi, non sembra in programma. Pertanto, l’indiziato numero uno sono i margini aziendali” commenta il manager L&G.
A questo proposito va ricordato che la pubblicazione dei profitti aziendali avviene con un certo ritardo: al momento, per esempio, i più recenti coprono solamente il primo trimestre di questo 2025 e quindi non possono avere già scontato l’effetto dei dazi. Resta il fatto che le società dell’S&P 500 hanno registrato utili robusti (anche se in gran parte alimentati dalle grandi aziende hi tech) nonostante le entrate fiscali delle società siano diminuite del 6% nell'anno fiscale in corso (fino alla fine di luglio) rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. “Se fosse il segmento non quotato in borsa a essere il più colpito, potrebbe portare a un indebolimento delle assunzioni e degli investimenti in tutta l'economia (a parte l'impennata nel settore dell'intelligenza artificiale)” riferisce Drayson.
A mantenere il deficit relativamente stabile nel prossimo anno potrebbe contribuire un ulteriore aumento sia delle entrate tariffarie che delle imposte sulle plusvalenze (se i mercati azionari saranno sostenuti). Per una vera inversione di tendenza sarebbe invece necessario non prorogare i nuovi tagli fiscali in scadenza, il che appare piuttosto improbabile. “Dal momento che i dazi sono diventati essenziali fonti di entrate, qualsiasi futura amministrazione non riuscirà facilmente a revocarli senza aumentare le tasse o tagliare la spesa. Inoltre, la loro efficacia nel ridurre il deficit commerciale si riduce se quello di bilancio rimane intorno al 6%, poiché questo tende ad attrarre importazioni, originando un doppio deficit” spiega l’Head of Economics di L&G.
Per tentare di ridurre l’ampio deficit di bilancio commerciale sarebbe necessario incrementare il tasso di risparmio nel settore privato. Una dinamica che potrebbe indebolire la domanda interna, sebbene un rafforzamento delle esportazioni potrebbe essere la soluzione preferibile. “Inoltre saranno tutti da verificare gli impegni di investimento negli Stati Uniti (come parte degli "accordi" commerciali). Il loro effettivo impatto nella riduzione del deficit commerciale è fragile sia perché si tratta di flussi lordi spesso su orizzonti temporali non specificati e sia perché potrebbero non concretizzarsi come gli accordi cinesi per l'acquisto di prodotti statunitensi nel 2019” sottolinea Drayson.
L’Head of Economics di L&G concludendo la sua analisi non prevede significativi progressi nella ricerca del rigore fiscale statunitense nel prossimo anno. Quello attuale, nonostante i cambiamenti di politica economica e gli obiettivi dichiarati dall’amministrazione Trump, rischia di non essere un equilibrio sostenibile a lungo termine, con molteplici fattori di rischio.
L’APPORTO DEI DAZI
Un miglioramento frutto anche dell’apporto dei dazi, che attualmente ammonta complessivamente all’1,1% del prodotto interno lordo statunitense. “Tenendo anche conto della possibilità di potenziali dazi su prodotti farmaceutici e semiconduttori, finora esclusi, prevediamo che le entrate tariffarie saliranno a quasi l'1,5% del Pil entro la fine dell'anno” fa sapere Tim Drayson, Head of Economics di L&G.
MARGINI AZIENDALI A RISCHIO
Il manager, nel chiedersi chi pagherà per questi gettiti di reddito più alti, nota che, finora, la questione non sembra riguardare il consumatore medio americano. In base ai calcoli, l’inflazione dovuta ai dazi dovrebbe infatti aver inciso di appena due o tre decimi di punto. “Tuttavia, se si vuole scaricare il peso dei dazi sui paesi esteri è necessario che i prezzi delle merci importate siano abbassati un’opzione che, ad oggi, non sembra in programma. Pertanto, l’indiziato numero uno sono i margini aziendali” commenta il manager L&G.
LE AZIENDE NON QUOTATE IN BORSA
A questo proposito va ricordato che la pubblicazione dei profitti aziendali avviene con un certo ritardo: al momento, per esempio, i più recenti coprono solamente il primo trimestre di questo 2025 e quindi non possono avere già scontato l’effetto dei dazi. Resta il fatto che le società dell’S&P 500 hanno registrato utili robusti (anche se in gran parte alimentati dalle grandi aziende hi tech) nonostante le entrate fiscali delle società siano diminuite del 6% nell'anno fiscale in corso (fino alla fine di luglio) rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. “Se fosse il segmento non quotato in borsa a essere il più colpito, potrebbe portare a un indebolimento delle assunzioni e degli investimenti in tutta l'economia (a parte l'impennata nel settore dell'intelligenza artificiale)” riferisce Drayson.
I DAZI SONO DIVENTATI ESSENZIALI FONTI DI ENTRATE
A mantenere il deficit relativamente stabile nel prossimo anno potrebbe contribuire un ulteriore aumento sia delle entrate tariffarie che delle imposte sulle plusvalenze (se i mercati azionari saranno sostenuti). Per una vera inversione di tendenza sarebbe invece necessario non prorogare i nuovi tagli fiscali in scadenza, il che appare piuttosto improbabile. “Dal momento che i dazi sono diventati essenziali fonti di entrate, qualsiasi futura amministrazione non riuscirà facilmente a revocarli senza aumentare le tasse o tagliare la spesa. Inoltre, la loro efficacia nel ridurre il deficit commerciale si riduce se quello di bilancio rimane intorno al 6%, poiché questo tende ad attrarre importazioni, originando un doppio deficit” spiega l’Head of Economics di L&G.
INCREMENTARE IL TASSO DI RISPARMIO NEL SETTORE PRIVATO
Per tentare di ridurre l’ampio deficit di bilancio commerciale sarebbe necessario incrementare il tasso di risparmio nel settore privato. Una dinamica che potrebbe indebolire la domanda interna, sebbene un rafforzamento delle esportazioni potrebbe essere la soluzione preferibile. “Inoltre saranno tutti da verificare gli impegni di investimento negli Stati Uniti (come parte degli "accordi" commerciali). Il loro effettivo impatto nella riduzione del deficit commerciale è fragile sia perché si tratta di flussi lordi spesso su orizzonti temporali non specificati e sia perché potrebbero non concretizzarsi come gli accordi cinesi per l'acquisto di prodotti statunitensi nel 2019” sottolinea Drayson.
UN EQUILIBRIO NON SOSTENIBILE NEL LUNGO TERMINE
L’Head of Economics di L&G concludendo la sua analisi non prevede significativi progressi nella ricerca del rigore fiscale statunitense nel prossimo anno. Quello attuale, nonostante i cambiamenti di politica economica e gli obiettivi dichiarati dall’amministrazione Trump, rischia di non essere un equilibrio sostenibile a lungo termine, con molteplici fattori di rischio.