Sunday View

La Food Industry parla italiano, e i grandi brand nostrani si prendono la scena

Negli ultimi tempi, le grandi aziende del food hanno fatto registrare non pochi movimenti sul bollettino mondiale. E in prima fila, ci sono i marchi italiani

di Lorenzo Cleopazzo 13 Luglio 2025 09:30

financialounge -  Agroalimentare economia sunday view
E questo chi è?

Quante volte ce lo siamo chiesti? Per esempio quando andiamo a teatro e tutti elogiano l’attore di punta, ma noi non abbiamo idea di chi sia; quando ci propongono un film solo perché il protagonista è Tizio Caio, ma non sappiamo nemmeno che faccia abbia; oppure quando sentiamo una canzone alla radio e siamo all’oscuro di chi la canti. Può succedere di non conoscere qualcuno, ma ci sono nomi che, anche se spesso li diamo per scontati, fanno parte delle nostre vite pur senza che ce ne accorgiamo. Nomi che ci accompagnano quando facciamo la spesa o quando ci sediamo a tavola, che raccontano una storia spesso nata in Italia, anche se non sempre è ancora legata al nostro Paese.

Sono marchi e prodotti che riempiono parte della nostra quotidianità, e che oggi si prendono la scena non solo sulle nostre tavole, sugli scaffali dall’altra parte dell’Oceano, ma dell’intero palcoscenico della food industry.

Tutto è apparecchiato per gustarci il Sunday View di questa settimana: buona lettura!

CHI COMPRA E CHI VENDE


Si sa, a noi italiani piace esaltare il buon cibo nostrano. Negli anni, il nostro Paese si è sempre fatto riconoscere per una certa propensione alla qualità nel mangiare, ma non solo, anche nella food economy in senso lato. Colossi industriali come Ferrero, Barilla e altri che esportano in tutto il mondo hanno diffuso un’identità italiana sulle tavole dei consumatori, che oggi si fa sentire ancora di più anche sui tavoli delle aziende

Il primo caso per ordine di rilevanza è senz’altro l’acquisizione di WK Kellogg da parte di Ferrero, che ha comunicato di aver comprato l’intero pacchetto azionario del famoso marchio di cereali per 23 dollari ad azione, per un totale di oltre 3 miliardi. La società di Alba rafforza così la sua presenza in Canada, States e Caraibi, dove, oltre ai suoi prodotti più famosi, possiede anche marchi iconici in America come Butterfinger e Jelly Belly.

I brand nostrani, però, non sono sotto le luci della ribalta solo per le acquisizioni. Al centro dei rumors della food industry ci sarebbero anche altri due marchi oltre a Ferrero, ovvero Plasmon e - come abbiamo scritto qualche giorno fa - San Pellegrino. Entrambi potrebbero tornare a parlare italiano, con la prima che sarebbe venduta da Kraft a NewPrinces – ex Newlat Food, di Reggio Emilia – per 120 milioni, e la seconda che, assieme al resto del comparto water di Nestlé, è alla ricerca di investitori italiani.

Insomma, l’Italia della food economy si sta prendendo la scena, rimarcando il forte legame del nostro Paese e dei nostri marchi storici con la qualità del buon cibo e del buon bere. Tutte cose che non mancavano certo qualche secolo fa, quando assieme a tutto questo, si era soliti associare anche il buon pensare.

FILOSOFIA NOSTRANA


Va bene la Grecia antica, va bene la Francia dell’illuminismo o la Germania del romanticismo: ma vogliamo parlare dell’Italia? La filosofia italiana non è sempre messa sotto la luce che merita: i pensatori romani erano considerati semplici commentatori dei testi greci, i dotti della Scolastica uomini di Chiesa pieni di teologia, gli umanisti rinascimentali solo scribacchini di corte, e i filosofi moderni spesso persi tra marxismo e fascismo.

Ecco, no. Il nostro Paese ha da sempre creato o aiutato a creare dell’ottima filosofia, con pensatori del calibro di Cicerone, Tommaso d’Aquino, Croce, Martinetti, e Giambattista Vico. Tutti loro sono stati centrali nel proprio periodo storico e – chi più e chi meno – esaltati dagli studiosi successivi. L’ultimo della lista, Vico, per esempio, fu uno degli autori più vivaci attivo a sua volta in uno dei centri culturali più dinamici del tardo ‘600: Napoli. Nei suoi testi, molti dei quali in italiano – e non in latino, per arrivare a più persone possibili – prende proprio a modello la tradizione nostrana, rivalutandone il ruolo della fantasia e della poesia come forme di conoscenza, contro il razionalismo dominante. Un lavoro in controtendenza, che ha messo il pensiero italiano di fronte alle correnti esterne, ritagliandosi uno spazio non da poco sui libri di storia.

THE ITALIAN JOB


Qualcuno direbbe “italians do it better”, e, in effetti, anche se WK Kellogg è in leggera flessione nei ricavi e con addosso l’attenzione dell’amministrazione Trump per l’uso di coloranti artificiali, l’acquisizione da parte di Ferrero non è certo un autogol, anzi è volta a consolidare ulteriormente il gruppo italiano in un mercato dove è già bello forte.

Qualcun altro potrebbe dire anche “make Italy great again”, anche se in effetti i numeri della food industry italiana – seppur dislocata in gruppi internazionali – sono già ‘great’ di loro! Per esempio, se Plasmon dà origine a circa 200 milioni di euro di fatturato, San Pellegrino ha registrato un giro d’affari di oltre un miliardo, consolidandosi come punta di diamante del comparto water di Nestlé che già ricava quasi tre miliardi e mezzo di euro.

Nella food industry è in atto una sorta di ‘rivoluzione alla Vico’ in cui ciò che è legato all’Italia non ha niente da invidiare a ciò che invece è scritto, prodotto, venduto, radicato all’estero. Un italian job che ha portato e sta portando ancora diversi frutti, nella food economy e non solo.

BONUS TRACK


Che poi i grandi brand italiani stanno tornando a comprare da aziende estere come fecero negli anni passati nomi come Olivetti, Barilla e altri... Quindi è vero quello che scriveva Vico: che l’Italia è piena di corsi e ricorsi storici!

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