Weekly Bulletin
Il Toro di Wall Street che a tanti non piace si prepara a nuovi test
Dopo mesi di pessimismo smentito su crolli in arrivo causati da dazi e deficit Usa, i mercati si confrontano con l’accelerazione di Trump in Iran, ma restano sostenuti da fondamentali solidi
di Stefano Caratelli 23 Giugno 2025 08:25

La settimana destinata all’accelerazione del conflitto con l’Iran, poi avverata nel weekend, si era chiusa con mercati sostanzialmente dov’erano partiti. L’S&P 500 ha ceduto una manciata di punti sotto quota 6.000, con Wall Street rimasta in territorio “Toro”, sempre in vista dei record e un 20% sopra i minimi di meno di tre mesi fa, con solo i settori energia e sanità ancora indietro. Dopo aver smentito le attese di crolli per l’effetto combinato di dazi, inflazione e rendimenti dei Treasury, ora mercati e investitori vanno al nuovo test di guerra, con Trump all’attacco contro l’Iran a fianco di Israele, ripristinando la forza della deterrenza USA con l’obiettivo di un Medio Oriente pacificato, a vantaggio anche degli amici arabi del Golfo oltre che degli alleati occidentali.
Sull’Iran Trump ha cambiato registro, rinunciando alla danza del TACO, vale a dire minacce seguite da pausa, che qualche risultato aveva prodotto nel confronto commerciale con le principali aree, dall’Europa alla Cina. Ora sceglie di dare una mano concreta a Israele nel “lavoro sporco” di disinnescare l’infrastruttura nucleare di Teheran. I mercati finora hanno reagito agli allarmi focalizzandosi soprattutto sulla valutazione del ciclo economico, sull’inflazione, sulle mosse della Fed, e sui fondamentali aziendali. Ma emotività e speculazione restano in agguato, gli hedge fund sono carichi di posizioni al ribasso e pronti a profittarne, ma anche esposti a effetti boomerang se a qualche sbandata segue subito il rimbalzo costringendo a dolorose e costose ricoperture, con la conseguenza paradossale di alimentare i rally.
Le smentite a raffica subite dai previsori di crolli li costringono a contorsioni logiche, come quella, ripresa da Gillian Tett sul Financial Times, secondo cui la mancanza di reazione agli shock rappresenta una specie di assuefazione ai fattori avversi, tra i quali non si riesce a decidere quale è veramente importante, per cui la “naturale” reazione di vendere in preda al panico viene bloccata e si va avanti come se niente fosse. In pratica basterebbe poco per far crollare il mercato, ma non sapendo cosa, quando e soprattutto “se”, gli investitori non fanno seguire ai dubbi azioni conseguenti. In realtà, sono concentrati su cose più concrete, come capire in quale fase del ciclo siamo, se ancora quella finale dopo diversi anni di crescita drogata dagli stimoli, o all’inizio di una nuova su basi più solide, magari anche grazie alla stabilizzazione forzata del Medioriente.
Il focus è soprattutto su inflazione e deficit federale americano, la cui sostenibilità sarebbe minacciata dai tagli alle tasse in arrivo. Ma i dati economici continuano a mandare segnali di resilienza, sinora tradotti in solidi risultati societari, tornati ad essere sostenuti dalle mega cap tecnologiche con utili in crescita sempre a due cifre. Osservati speciali anche i rendimenti dei Treasury a 10 anni, su livelli elevati più per fattori tecnici legati a domanda e offerta che ad aspettative di alta inflazione.
Ma è un fattore che impatta poco sull’azionario, che storicamente produce ritorni annuali a due cifre sia in tempi di tassi vicini allo zero, come durante i vari quantitative easing o nel post Covid, sia con rendimenti tra il 5% e il 10%. Treasury a 10 anni che viaggiavano tra il 4,6% e il 7,8% non hanno impedito il dispiegarsi di un galoppante mercato Toro a Wall Street negli anni 90 del secolo scorso. Invece è l’inflazione, non per forza anticipata da Treasury, a minacciare le azioni, e storicamente quando ha viaggiato a livelli record, ben lontana dalla traiettoria attuale, ha coinciso con una ventina di fasi di Orso.
Bottom line. La resistenza esibita finora da Wall Street rafforza la convinzione di chi non ha ceduto alle tensioni emotive e mediatiche e tenuto la rotta, che porta probabilmente alla partenza di un nuovo ciclo economico su basi più solide, anche se diversificato a livello settoriale e geografico. Incertezze e volatilità restano in agguato e la speculazione è pronta a cavalcarle.
MERCATI FOCALIZZATI SULLA VALUTAZIONE DEL CICLO
Sull’Iran Trump ha cambiato registro, rinunciando alla danza del TACO, vale a dire minacce seguite da pausa, che qualche risultato aveva prodotto nel confronto commerciale con le principali aree, dall’Europa alla Cina. Ora sceglie di dare una mano concreta a Israele nel “lavoro sporco” di disinnescare l’infrastruttura nucleare di Teheran. I mercati finora hanno reagito agli allarmi focalizzandosi soprattutto sulla valutazione del ciclo economico, sull’inflazione, sulle mosse della Fed, e sui fondamentali aziendali. Ma emotività e speculazione restano in agguato, gli hedge fund sono carichi di posizioni al ribasso e pronti a profittarne, ma anche esposti a effetti boomerang se a qualche sbandata segue subito il rimbalzo costringendo a dolorose e costose ricoperture, con la conseguenza paradossale di alimentare i rally.
LE CONTORSIONI LOGICHE DEI RIBASSISTI
Le smentite a raffica subite dai previsori di crolli li costringono a contorsioni logiche, come quella, ripresa da Gillian Tett sul Financial Times, secondo cui la mancanza di reazione agli shock rappresenta una specie di assuefazione ai fattori avversi, tra i quali non si riesce a decidere quale è veramente importante, per cui la “naturale” reazione di vendere in preda al panico viene bloccata e si va avanti come se niente fosse. In pratica basterebbe poco per far crollare il mercato, ma non sapendo cosa, quando e soprattutto “se”, gli investitori non fanno seguire ai dubbi azioni conseguenti. In realtà, sono concentrati su cose più concrete, come capire in quale fase del ciclo siamo, se ancora quella finale dopo diversi anni di crescita drogata dagli stimoli, o all’inizio di una nuova su basi più solide, magari anche grazie alla stabilizzazione forzata del Medioriente.
FOCUS SUI RENDIMENTI DEI TREASURY
Il focus è soprattutto su inflazione e deficit federale americano, la cui sostenibilità sarebbe minacciata dai tagli alle tasse in arrivo. Ma i dati economici continuano a mandare segnali di resilienza, sinora tradotti in solidi risultati societari, tornati ad essere sostenuti dalle mega cap tecnologiche con utili in crescita sempre a due cifre. Osservati speciali anche i rendimenti dei Treasury a 10 anni, su livelli elevati più per fattori tecnici legati a domanda e offerta che ad aspettative di alta inflazione.
MA STORICAMENTE NON IMPATTANO WALL STREET
Ma è un fattore che impatta poco sull’azionario, che storicamente produce ritorni annuali a due cifre sia in tempi di tassi vicini allo zero, come durante i vari quantitative easing o nel post Covid, sia con rendimenti tra il 5% e il 10%. Treasury a 10 anni che viaggiavano tra il 4,6% e il 7,8% non hanno impedito il dispiegarsi di un galoppante mercato Toro a Wall Street negli anni 90 del secolo scorso. Invece è l’inflazione, non per forza anticipata da Treasury, a minacciare le azioni, e storicamente quando ha viaggiato a livelli record, ben lontana dalla traiettoria attuale, ha coinciso con una ventina di fasi di Orso.
Bottom line. La resistenza esibita finora da Wall Street rafforza la convinzione di chi non ha ceduto alle tensioni emotive e mediatiche e tenuto la rotta, che porta probabilmente alla partenza di un nuovo ciclo economico su basi più solide, anche se diversificato a livello settoriale e geografico. Incertezze e volatilità restano in agguato e la speculazione è pronta a cavalcarle.
Trending