Sunday View
Il turismo divide l’Europa: una nuova caccia all’oro tra vecchi problemi e nuove opportunità
Tra proteste, accuse e sanzioni, il fenomeno dell’overtourism torna a farsi sentire con l’arrivo della stagione estiva: ma è davvero così negativo?
di Lorenzo Cleopazzo 22 Giugno 2025 09:30

Li chiamano “sliding doors”, quei momenti da aut aut, quelli che o una cosa o l’altra, che decidono cosa sarà delle nostre giornate da quel momento in avanti. Sono quegli istanti che magari viviamo con una certa leggerezza, lì per lì, ma che invece nascondono una svolta importante. Come quella volta in cui abbiamo scelto l’università, quell’altra in cui abbiamo deciso di parlare per la prima volta a chi sarebbe poi diventato il nostro migliore amico, o come quella volta in cui abbiamo deciso cosa sarebbe stato delle nostre vacanze. Dite che è poco? Chi non si è mai trovato in difficoltà di fronte alla scelta del luogo dove trascorrere le ferie? C’è chi ha sudato freddo alla domanda “mare o montagna”, e poi c’è anche chi invece ha tentato di uscirne proponendo “città”.
Sliding doors o meno, qualsiasi sia la meta che viene concordata, non si può sfuggire a un’ombra perennemente in agguato: quella del “turismo”. C’è chi ormai ne sussurra il nome come fosse un mostro da cui nascondersi, e chi invece lo insegue come la promessa di una miniera d’oro, pronto a raccoglierne ogni briciola, anche a costo di consumarne le fondamenta.
La virtù sta nel mezzo, come direbbero gli antichi greci. O quantomeno così dovrebbe essere, anche se non è sempre così semplice trovarla. Nel Sunday View di questa settimana proviamo a fare un po’ di chiarezza in mezzo al marasma che ogni anno si crea attorno al tema dell’overtourism. Se volete scoprirne di più, chiudete le valigie e partite con noi!
Giusto un anno fa scrivevamo su queste righe delle proteste a Barcellona contro l’overtourism e tutto quello che ne deriva: la calca per la città, il prezzo degli alloggi che aumenta, i negozi di souvenir che rimpiazzano le botteghe degli artigiani e così via. Ecco, a distanza di 12 mesi, i manifestanti sono tornati a fare capolino con gli stessi slogan, sulla Rambla come anche nelle “iper-turisticizzate” Ibiza, Malaga, Palma di Maiorca, e Granada. Ai residenti, quindi, sembra non andare giù tutta questa massa di turisti, ma ai commercianti? Per loro dovrebbe essere una manna dal cielo avere tutti quei possibili clienti che passano davanti alle loro vetrine. Forse troppo, visto che a Capri il sindaco Paolo Falco, ha vietato qualsiasi azione di disturbo verso i visitatori. Vale a dire: non si possono inseguire i turisti armati di menù, dépliant per le gite in barca o volantini che promuovono romantici giri in Ape. Dunque, ai residenti non piace il turismo, mentre invece ai commercianti piace così tanto che qualcuno deve metterci un freno.
E in tutto questo, chi si prende a colpa? Nella narrazione di chi fa dell’overturism un mostro, il colpevole è spesso una di quelle piattaforme per gli affitti brevi, che si ritrova poi a fare i conti con mezzo mondo di accuse. Forse stufi di tutti questi indici puntati, dalle parti di AirBnb hanno pensato bene di far uscire uno studio – basato su dati Eurostat, OMT e di altre fonti indipendenti – in cui si analizza il fenomeno dell’overtourism nelle 10 località europee più visitate. Dal report, emerge che gli affitti brevi non sarebbero il vero problema che affligge le città, dato che circa l’80% dei pernottamenti tra 2023 e 2024 sono avvenuti negli hotel.
E ora la domanda che tutti stavamo aspettando: ma l’Italia? L’Italia piace, ovviamente. Piace così tanto che nel 2024 si è toccato un picco storico: 458 – e oltre – milioni di turisti, e l’anno in corso si prospetta ancora più caldo. A ben vedere, però, i numeri lasciano il tempo che trovano: va bene avere ondate di persone che passeggiano nelle nostre città, che si tuffano nel nostro mare o che camminano su per le nostre montagne, ma il punto oggi è: a chi conviene davvero la quantità?
C’è chi l’oro ce l’ha “in casa”, e chi invece si muove per cercarlo. Oggi vale per le mete turistiche, ma c’è stato un periodo in cui non erano mare o montagna le destinazioni privilegiate. A un tuffo o a una passeggiata, si preferiva di gran lunga andare a setacciare i fiumi in cerca di pepite, e le mete predilette non erano Barcellona o Venezia, ma la semideserta California. Era il 1848 e il territorio era appena stato occupato dagli Stati Uniti, quando un vecchio falegname di nome James Marshall trovò una pepita a Sutter’s Mill, vicino a Coloma. Il risultato? La febbre dell’oro contagiò mezzo mondo, creando un flusso di centinaia di migliaia di persone in pochi anni. Overtourism? Quasi: anche durante la gold fever le città californiane dovettero gestire i problemi derivanti da questi numeri, con i residenti a volte addirittura cacciati per far spazio a strutture che potessero accogliere un maggior numero di persone, e il costo della vita aumentato.
Quantità o qualità? Ma soprattutto, chi ci guadagna davvero da uno o dall’altra?
Il nocciolo della questione sta proprio qui. Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca: non è possibile avere montagne di turisti, e tutelare la vivibilità delle città. O forse sì?
I problemi sono diversi, ma ciò significa che si possono trovare diverse soluzioni! Ovviamente tutti hanno il diritto di viaggiare, e i dati post-Covid ci dicono che noi tutti ne stiamo – giustamente – godendo appieno. I voli, le crociere, i treni e anche le strutture stanno registrando aumenti incredibili. Il punto, dunque, è proprio qui: l’overtourism è un fenomeno endemico e fisiologico, che deve essere affrontato come tale, promuovendo politiche di lungo periodo, piuttosto che individuare colpevoli una tantum.
Facile a parole, vero? Verissimo, perché se viaggiare è sacrosanto, lo è anche difendere la serenità di chi vive nelle città e nei Paesi presi d’assalto. Paesi come la Spagna o l’Italia, dove il turismo vale tra l’11% e il 12% del PIL, e una sovrastruttura normativa può aiutare a far crescere questo numero in maniera sana, riuscendo – auspicabilmente – a mixare quantità e qualità.
Si parla di turismo diffuso, di destagionalizzazione, di infrastrutture sostenibili e di coinvolgimento delle realtà locali. Tutto per ricostruire il turismo, non per annichilirlo; per cavalcare un’onda, non per esserne travolti; per trovare ricchezza, non per perdersi in un’infruttuosa caccia all’oro.
Che poi alla fine il mondo è grande e le ferie poche: il vero problema non è tanto dove andare, ma evitare le code... O le proteste di chi non ci vorrebbe tra le infradito.
Sliding doors o meno, qualsiasi sia la meta che viene concordata, non si può sfuggire a un’ombra perennemente in agguato: quella del “turismo”. C’è chi ormai ne sussurra il nome come fosse un mostro da cui nascondersi, e chi invece lo insegue come la promessa di una miniera d’oro, pronto a raccoglierne ogni briciola, anche a costo di consumarne le fondamenta.
La virtù sta nel mezzo, come direbbero gli antichi greci. O quantomeno così dovrebbe essere, anche se non è sempre così semplice trovarla. Nel Sunday View di questa settimana proviamo a fare un po’ di chiarezza in mezzo al marasma che ogni anno si crea attorno al tema dell’overtourism. Se volete scoprirne di più, chiudete le valigie e partite con noi!
STESSA SPIAGGIA, STESSO MARE, STESSI PROBLEMI
Giusto un anno fa scrivevamo su queste righe delle proteste a Barcellona contro l’overtourism e tutto quello che ne deriva: la calca per la città, il prezzo degli alloggi che aumenta, i negozi di souvenir che rimpiazzano le botteghe degli artigiani e così via. Ecco, a distanza di 12 mesi, i manifestanti sono tornati a fare capolino con gli stessi slogan, sulla Rambla come anche nelle “iper-turisticizzate” Ibiza, Malaga, Palma di Maiorca, e Granada. Ai residenti, quindi, sembra non andare giù tutta questa massa di turisti, ma ai commercianti? Per loro dovrebbe essere una manna dal cielo avere tutti quei possibili clienti che passano davanti alle loro vetrine. Forse troppo, visto che a Capri il sindaco Paolo Falco, ha vietato qualsiasi azione di disturbo verso i visitatori. Vale a dire: non si possono inseguire i turisti armati di menù, dépliant per le gite in barca o volantini che promuovono romantici giri in Ape. Dunque, ai residenti non piace il turismo, mentre invece ai commercianti piace così tanto che qualcuno deve metterci un freno.
E in tutto questo, chi si prende a colpa? Nella narrazione di chi fa dell’overturism un mostro, il colpevole è spesso una di quelle piattaforme per gli affitti brevi, che si ritrova poi a fare i conti con mezzo mondo di accuse. Forse stufi di tutti questi indici puntati, dalle parti di AirBnb hanno pensato bene di far uscire uno studio – basato su dati Eurostat, OMT e di altre fonti indipendenti – in cui si analizza il fenomeno dell’overtourism nelle 10 località europee più visitate. Dal report, emerge che gli affitti brevi non sarebbero il vero problema che affligge le città, dato che circa l’80% dei pernottamenti tra 2023 e 2024 sono avvenuti negli hotel.
E ora la domanda che tutti stavamo aspettando: ma l’Italia? L’Italia piace, ovviamente. Piace così tanto che nel 2024 si è toccato un picco storico: 458 – e oltre – milioni di turisti, e l’anno in corso si prospetta ancora più caldo. A ben vedere, però, i numeri lasciano il tempo che trovano: va bene avere ondate di persone che passeggiano nelle nostre città, che si tuffano nel nostro mare o che camminano su per le nostre montagne, ma il punto oggi è: a chi conviene davvero la quantità?
CORSA ALL’ORO
C’è chi l’oro ce l’ha “in casa”, e chi invece si muove per cercarlo. Oggi vale per le mete turistiche, ma c’è stato un periodo in cui non erano mare o montagna le destinazioni privilegiate. A un tuffo o a una passeggiata, si preferiva di gran lunga andare a setacciare i fiumi in cerca di pepite, e le mete predilette non erano Barcellona o Venezia, ma la semideserta California. Era il 1848 e il territorio era appena stato occupato dagli Stati Uniti, quando un vecchio falegname di nome James Marshall trovò una pepita a Sutter’s Mill, vicino a Coloma. Il risultato? La febbre dell’oro contagiò mezzo mondo, creando un flusso di centinaia di migliaia di persone in pochi anni. Overtourism? Quasi: anche durante la gold fever le città californiane dovettero gestire i problemi derivanti da questi numeri, con i residenti a volte addirittura cacciati per far spazio a strutture che potessero accogliere un maggior numero di persone, e il costo della vita aumentato.
CHI CERCA TROVA
Quantità o qualità? Ma soprattutto, chi ci guadagna davvero da uno o dall’altra?
Il nocciolo della questione sta proprio qui. Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca: non è possibile avere montagne di turisti, e tutelare la vivibilità delle città. O forse sì?
I problemi sono diversi, ma ciò significa che si possono trovare diverse soluzioni! Ovviamente tutti hanno il diritto di viaggiare, e i dati post-Covid ci dicono che noi tutti ne stiamo – giustamente – godendo appieno. I voli, le crociere, i treni e anche le strutture stanno registrando aumenti incredibili. Il punto, dunque, è proprio qui: l’overtourism è un fenomeno endemico e fisiologico, che deve essere affrontato come tale, promuovendo politiche di lungo periodo, piuttosto che individuare colpevoli una tantum.
Facile a parole, vero? Verissimo, perché se viaggiare è sacrosanto, lo è anche difendere la serenità di chi vive nelle città e nei Paesi presi d’assalto. Paesi come la Spagna o l’Italia, dove il turismo vale tra l’11% e il 12% del PIL, e una sovrastruttura normativa può aiutare a far crescere questo numero in maniera sana, riuscendo – auspicabilmente – a mixare quantità e qualità.
Si parla di turismo diffuso, di destagionalizzazione, di infrastrutture sostenibili e di coinvolgimento delle realtà locali. Tutto per ricostruire il turismo, non per annichilirlo; per cavalcare un’onda, non per esserne travolti; per trovare ricchezza, non per perdersi in un’infruttuosa caccia all’oro.
BONUS TRACK
Che poi alla fine il mondo è grande e le ferie poche: il vero problema non è tanto dove andare, ma evitare le code... O le proteste di chi non ci vorrebbe tra le infradito.
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