L'analisi
Schroders: view positiva sull’oro e sull’azionario aurifero
Mentre ci si chiede quanto siano “sicuri” gli asset in dollari o quanto siano rosee le prospettive economiche degli Stati Uniti, l'oro rappresenta uno dei principali beneficiari della tendenza di rimpatrio dei capitali globali
di Leo Campagna 11 Maggio 2025 15:00

Storicamente, un debito sovrano molto elevato e deficit interni insostenibili a lungo termine (come quello attuale negli Stati Uniti e, in parte dell'Europa e in Cina) tendono a deteriorare la valuta e a generare inflazione. A questo va aggiunto il cambio di paradigma geopolitico nel quale si sta migrando da un contesto di globalizzazione verso la multipolarità e la rivalità tra grandi potenze. “Si tratta di tendenze che hanno il potenziale per creare una situazione in cui diverse quote del capitale globale cercano di acquistare contemporaneamente l'oro, come metallo monetario “sicuro” fa sapere James Luke, Fund Manager, Metals, Schroders.
Il team di economisti della casa d’investimento stima che l'impatto dei dazi del “Liberation Day” sull'inflazione statunitense sia pari al 2%, con un impatto sulla crescita di quasi l'1%, prima di tenere conto di eventuali dazi di ritorsione. Di fatto una prospettiva di stagflazione che penalizza gli asset di rischio, ma tende a favorire l'oro. Trump, chiedendo un commercio equilibrato, rifiuta la globalizzazione. Ma anche il regime monetario globale centrato sul dollaro americano, sotto il quale l'economia globale ha vissuto dalla fine di Bretton Woods nel 1971. “Da allora, il biglietto verde ha svolto la funzione di principale valuta di riserva globale, dominando le riserve ufficiali e il commercio e la finanza internazionali, ben oltre la quota statunitense del Pil globale. Ha sostenuto un sistema commerciale globale aperto e basato su regole, integrato da solide alleanze geopolitiche” spiega Luke.
Grazie a questo status quo del dollaro, ne hanno tratto vantaggi gli asset denominati nella divisa USA, principalmente i Treasury, che sono considerati asset “rifugio”. Ma adesso, con la messa in discussione dell’attuale sistema commerciale globale, basato sui dazi doganali, è possibile che si registrino significativi flussi di rimpatrio. “Proprio quando ci si chiede quanto siano “sicuri” gli asset in dollari o quanto siano rosee le prospettive economiche degli Stati Uniti. Con una tale scarsità di alternative credibili, ci aspettiamo che l'oro sia uno dei principali beneficiari di questa tendenza al rimpatrio” riferisce il manager di Schroders.
Se alla robusta domanda delle banche centrali se ne aggiunge una forte globale di investimenti, i prezzi dell'oro potrebbero facilmente salire molto di più. Anche perché l’offerta delle miniere, sostanzialmente ferma ai livelli del 2018, non può rispondere rapidamente nemmeno a prezzi molto più alti. Una dinamica che, in ottica conservativa, potrebbe proiettare il prezzo dell’oro a 5.000 dollari all’oncia entro la fine del decennio.
In questo contesto favorevole al metallo giallo, il manager di Schroders nota che i titoli azionari auriferi, hanno accusato ingenti deflussi da parte degli investitori passivi: 2,4 miliardi di dollari di disinvestimenti solo nel primo trimestre di quest’anno. E questo nonostante il rally dell’oro comprato come asset monetario e non come asset di commodity. I costi operativi, di capitale e di manodopera dei produttori d’oro risultano attualmente molto più contenuti rispetto al 2021/22. Con i prezzi dell'oro ai massimi storici, i margini di profitto saranno da record per i produttori di oro. “Riteniamo che, con ogni probabilità, possano registrare una maggiore crescita degli utili e dei flussi di cassa liberi", conlude Luke. "Superiori a qualsiasi altro settore del mercato azionario”.
LE STIME DELL’IMPATTO DEI DAZI DI TRUMP
Il team di economisti della casa d’investimento stima che l'impatto dei dazi del “Liberation Day” sull'inflazione statunitense sia pari al 2%, con un impatto sulla crescita di quasi l'1%, prima di tenere conto di eventuali dazi di ritorsione. Di fatto una prospettiva di stagflazione che penalizza gli asset di rischio, ma tende a favorire l'oro. Trump, chiedendo un commercio equilibrato, rifiuta la globalizzazione. Ma anche il regime monetario globale centrato sul dollaro americano, sotto il quale l'economia globale ha vissuto dalla fine di Bretton Woods nel 1971. “Da allora, il biglietto verde ha svolto la funzione di principale valuta di riserva globale, dominando le riserve ufficiali e il commercio e la finanza internazionali, ben oltre la quota statunitense del Pil globale. Ha sostenuto un sistema commerciale globale aperto e basato su regole, integrato da solide alleanze geopolitiche” spiega Luke.
LO STATUS QUO DEL DOLLARO
Grazie a questo status quo del dollaro, ne hanno tratto vantaggi gli asset denominati nella divisa USA, principalmente i Treasury, che sono considerati asset “rifugio”. Ma adesso, con la messa in discussione dell’attuale sistema commerciale globale, basato sui dazi doganali, è possibile che si registrino significativi flussi di rimpatrio. “Proprio quando ci si chiede quanto siano “sicuri” gli asset in dollari o quanto siano rosee le prospettive economiche degli Stati Uniti. Con una tale scarsità di alternative credibili, ci aspettiamo che l'oro sia uno dei principali beneficiari di questa tendenza al rimpatrio” riferisce il manager di Schroders.
ORO A 5.000 DOLLARI L’ONCIA ENTRO LA FINE DEL DECENNIO
Se alla robusta domanda delle banche centrali se ne aggiunge una forte globale di investimenti, i prezzi dell'oro potrebbero facilmente salire molto di più. Anche perché l’offerta delle miniere, sostanzialmente ferma ai livelli del 2018, non può rispondere rapidamente nemmeno a prezzi molto più alti. Una dinamica che, in ottica conservativa, potrebbe proiettare il prezzo dell’oro a 5.000 dollari all’oncia entro la fine del decennio.
L’APPEAL DELL’AZIONARIO AURIFERO
In questo contesto favorevole al metallo giallo, il manager di Schroders nota che i titoli azionari auriferi, hanno accusato ingenti deflussi da parte degli investitori passivi: 2,4 miliardi di dollari di disinvestimenti solo nel primo trimestre di quest’anno. E questo nonostante il rally dell’oro comprato come asset monetario e non come asset di commodity. I costi operativi, di capitale e di manodopera dei produttori d’oro risultano attualmente molto più contenuti rispetto al 2021/22. Con i prezzi dell'oro ai massimi storici, i margini di profitto saranno da record per i produttori di oro. “Riteniamo che, con ogni probabilità, possano registrare una maggiore crescita degli utili e dei flussi di cassa liberi", conlude Luke. "Superiori a qualsiasi altro settore del mercato azionario”.