Sunday View

Rebranding Jaguar: quando (forse) non bisogna esagerare

Fa discutere, e tanto, la recente campagna del brand inglese. Tra chi la definisce troppo slegata dal passato dell’azienda, e chi invece rimane semplicemente curioso di scoprire quali saranno i prossimi passi

di Lorenzo Cleopazzo 24 Novembre 2024 09:30

financialounge -  automotive economia Jaguar sunday view
È mattino, suona la sveglia. È presto, proporzionalmente agli orari e alla routine di ognuno. Ci alziamo dal letto, più o meno faticosamente. Chi riesce a superare questo primo scoglio si troverà, presto o tardi, a fare i conti con una caratteristica tipica delle mattine fredde: il buio, che fino all’alba – circa alle 7:30, se ve lo state chiedendo – bussa alle finestre ancora un po’ insonnolite delle nostre case.

Fin qui è tutto facile, giusto? Stiamo rivedendo una classica scena di quasi tutte le mattine della settimana. Ma ora facciamo uno sforzo in più: proviamo a immaginare cosa succederebbe se il sole, anziché fare capolino alle 7:30, non sorgesse proprio; se l’alba non fosse semplicemente posticipata dalla stagione, ma proprio cancellata dall’agenda della giornata. Cosa penseremmo? Come reagiremmo a qualcosa che pensavamo ovvio, ma che ovvio non è più? A qualcosa che davamo per scontato, che “è sempre stato così”, ma che ora sarà “cosà”.

Il Sunday View di questa settimana parla dello straniamento, della sensazione di conoscere e non conoscere ciò che abbiamo di fronte. Parla di rebranding e di come questi vengono accolti dal mercato. Parla di giaguari, e di ladri smemorati. Parla di un sacco di cose, come sempre. E se siete pronti a scoprirle tutte, allora bisogna avventurarci in questo articolo!

Allacciate le cinture, che partiamo.

CERCASI GIAGUARO


Un giro di boa, uno spartiacque, diremmo noi. “A pivotal moment”, ha scritto Jaguar. Questo è solo uno dei virgolettati che la casa automobilistica inglese – con grande pazienza, bisogna dirlo – ha utilizzato per rispondere alla marea di commenti non proprio carinissimi che le sono franati addosso sotto l’ultimo video postato sulla sua pagina X. Il primo di questi commenti, per rilevanza, è quello del solito Elon Musk, che chiede, come tanti altri: “Vendete auto?”.

Ma riavvolgiamo un attimo il nastro: che succede sui social di Jaguar? O meglio: che succede all’azienda?

Il marchio automobilistico, parte di Tata Group – grande gruppo industriale indiano che annovera anche Land Rover tra i suoi marchi – anni fa aveva annunciato un piano illuminato per un parco auto che fosse 100% elettrico e, per farlo, aveva tolto dal commercio il suo ultimo modello a combustione, negando ogni vendita fino al nuovissimo lancio previsto tra il 2025 e il 2026.

Ecco, ormai ci siamo: sembra proprio che siamo arrivati al turning point e, per farcelo capire, Jaguar ha dato vita a un rebranding di un certo calibro. Un calibro pesante.

Il video postato su X, e fulcro del rebranding, gioca su claim anticonvenzionali, con colori e visual pop-tech, che dovrebbero richiamare l’anima innovativa – e quindi elettrica – del nuovo automotive di lusso. Un’idea ben lontana, quindi, dall’eleganza e dalla distinzione che identificavano il marchio fino a poco tempo fa. Tanto lontana, che non la si riconosce. Si era ormai radicata nel nostro immaginario, la davamo per scontata, eppure ora non c’è più. Ma parliamo solo di un rebranding, oppure dello snaturamento di un’identità?

CERCASI IDENTITÀ


Le ultime cinque parole del precedente paragrafo sono un vero e proprio caso in filosofia. Perché? Perché se già ci immaginiamo i filosofi come chi – barba bianca o meno –fa domande assurde su temi che sembrano semplici, ora proviamo a pensare cosa succederebbe se chiedessimo a uno di questi tipi strambi cosa significa essere uguali a sé stessi. È un po’ una domanda a trabocchetto, solo che il trabocchetto ce lo tiriamo da soli. Perché poi il filosofo in questione, sicuramente ringalluzzito dalla domanda, non si tirerà indietro a snocciolarvi tante di quelle teorie sull’identità da farvi venire il mal di testa. Per esempio, potrebbe partire dal paradosso del mucchio di sabbia, immaginando di togliere un granello alla volta fino a chiederci quando smetterebbe di essere un “mucchio”. Poi potrebbe concludere con l’affermazione di John Locke, filosofone inglese del ‘600, che diceva che l’identità con noi stessi è data dalla memoria: se quindi un ladro non ricorda di aver commesso un furto, allora non si può dire che sia stato lui a compierlo. Vi sembra assurdo? Un po’ lo è, e non a caso i filosofi ci perdono la testa su queste cose. E noi tutti con loro.

CERCASI CONCLUSIONE


Di rebranding ce ne sono sempre stati, e ce ne saranno ancora. Più o meno tutti tra questi hanno creato un certo squilibrio negli utenti. Per restare nell’automotive, ci sono quelli di Kia e di Peugeot; nel mondo del calcio, invece, i nostrani Juventus e Inter, tra gli altri. E poi ancora e ancora.

Perché, allora, l’operazione di Jaguar sembra essere diversa? Sicuramente, in primis perché un commento di Elon Musk su Twitter – ops, su X – fa sempre un minimo di notizia; ma anche perché un’operazione così audace e radicale non può non far parlare di sé. Il punto è: vale sempre il mantra del “purché se ne parli”? probabilmente no. Il nome della Jaguar non era solo legato a un prodotto top di gamma, ma a un’esperienza di alto livello, a linee, stile e design che ne hanno decretato la fortuna e ne hanno fatto un brand riconoscibilissimo, specialmente per chi si sedeva al volante di una di quelle auto. Un cambio così radicale nella comunicazione e nella produzione, fatto in pochissimi anni, e lanciato ufficialmente con un video sui social dove per altro non si vede neanche un’auto, rischia di diventare un boomerang. Anche perché c’è chi parla in modo un po’ sminuente di “svolta Woke” – un movimento che vuole sottolineare l’importanza di "stare allerta", "stare svegli" contro i soprusi sociali o razziali – per Jaguar, dato che sui post di X i colori dominanti non fanno proprio parte della palette canonica del marchio. Il tutto appare quasi anacronistico dopo una vittoria di Trump con cui, secondo alcuni commentatori, si è decretato il declino proprio di Woke e affini.

Una campagna sicuramente “esuberante”, che stravolge il marchio e – per dirla come Locke – lo rende de facto un brand totalmente diverso. Se invece preferissimo prendere a esempio il paradosso del mucchio di sabbia, dovremmo chiederci fino a che punto Jaguar è ancora il brand di prima, e quando invece smetterebbe di esserlo. Ma non è che quel punto è già stato superato?

BONUS TRACK


Comunque, in mezzo alla tempesta di commenti negativi che sono piovuti addosso a Jaguar, c’è anche chi ha apprezzato i colori, il nuovo logo, e tutto il resto. C’è solo un problema con questo rebranding: è scomparso il giaguaro... E per un marchio che si chiama “Jaguar” non è proprio un dettaglio. Sarebbe come se la RedBull diventasse di colpo un brand ambientalista e facesse sparire i tori, iniziandosi a chiamare GreenSalad. Non ci sta, eddai.

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